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COSTRUZIONE DI ALIMENTATORI A VALVOLE TERMOIONICHE PER RADIORICEVITORI

di Marco Gilardetti

Questo articolo, scritto originariamente per Le Radio Di Sophie, è stato pubblicato
sulla rivista Costruire HiFi (numero 101, Blu Press s.r.l., Luglio 2007).
E' qui presentato in virtù di un accordo scritto tra autore ed editore.   Tutti i diritti sono riservati.
Ne è vietata la riproduzione,  anche parziale,  senza citare la fonte.   Per l'inserimento come voce bibliografica:
Gilardetti M.: Costruzione di alimentatori a valvole termoioniche per radioricevitori. Il web (leradiodisophie.it), Agosto 2008.

 

PARTE III:

ALIMENTATORI RIDUTTORI ED ELEVATORI DI TENSIONE

III.1

RIDUZIONE DELLA TENSIONE EROGATA: FILTRO AD INGRESSO INDUTTIVO

   Abbiamo passato in rassegna i principali tipi di alimentatori a tubi elettronici;   in ciascuno di essi la tensione presente al secondario è innalzata all’incirca di un fattore 1.4 nel passaggio da corrente alternata a corrente continua.   Esistono modi per ridurre od elevare questo fattore di moltiplicazione,  quando necessario?   Per esempio,  nel caso non remoto in cui l'alimentatore sia da realizzarsi con un trasformatore di "dubbia provenienza",  può accadere che la tensione erogata in uscita dal filtro Π sia molto superiore a quella richiesta dal radioricevitore per il corretto funzionamento e debba quindi essere abbassata.   Alla radice di questo eccesso di tensione,  in molti casi,  vi è la stessa caratteristica dei filtri ad ingresso capacitivo di mantenere la tensione di picco della corrente alternata anziché il suo valore efficace.

   E' possibile risolvere il problema ricorrendo ad una soluzione molto elegante:   un filtro spianatore ad ingresso induttivo,  ossia che presenti un'induttanza in serie dopo la raddrizzatrice anziché una capacità in parallelo.   Le induttanze,  difatti,  tendono ad opporsi alle variazioni di corrente in un circuito,  ed in conseguenza di ciò tendono a "bloccare" la tensione attorno al suo valore medio anziché attorno al suo valore di picco (come farebbe invece un condensatore).   La differenza è illustrata graficamente in figura 3.1.

Figura 3.1 - Confronto tra il livellamento ottenuto mediante ingresso capacitivo (rosso) ed ingresso induttivo (verde).

   In figura 3.2 è riportato uno schema completo di alimentatore con filtro ad ingresso induttivo seguito da un condensatore di spianamento che ha lo scopo di migliorare ulteriormente l'effetto filtrante.   Anche in questo caso,  l'induttanza può essere costituita dalla bobina di campo di un altoparlante elettrodinamico,  e possono essere inserite ulteriori celle di filtro a cascata se è necessario ridurre ancora la tensione di ondulazione.

   Questo tipo di filtri è inoltre particolarmente indicato nel caso in cui possano esservi variazioni repentine nell'assorbimento di corrente da parte del carico.    Quasi tutti i testi classici, difatti, ne suggeriscono l'uso in unione ad amplificatori finali in classe B o nei radiotrasmettitori,  dove vi sono richieste improvvise di grandi potenze in uscita.   Il loro utilizzo come riduttori di tensione è in un certo senso improprio,  ma è non di meno assai efficace.

   Lo svantaggio dei filtri ad ingresso induttivo è che raggiungono uno stato stabile solo in presenza di un passaggio di corrente.   In assenza di corrente,  la tensione in uscita tenderà a ad avvicinarsi alla tensione di picco come nel caso del filtro ad ingresso capacitivo,  con effetti che possono risultare molto pericolosi per il circuito a valle.   Questo difetto può essere parzialmente arginato inserendo una resistenza-zavorra a valle del filtro.

Figura 3.2 - Alimentatore a doppia semionda con filtro ad ingresso induttivo.

INDUTTANZA CARICO TENSIONE AL CARICO TENSIONE DI ONDULAZIONE

2,5 H
110 Ω
(BOB. DI FILTRO)

a vuoto (1 MΩ) 340 V c.c. 65 mV
500 KΩ 330 V c.c. 160 mV
50 KΩ 290 V c.c. 900 mV
25 KΩ 265 V c.c. 1,6 V
10 KΩ 235 V c.c. 2,5 V
5 KΩ 185 V c.c. 3,5 V
25 H
3000 Ω
(ECCITAZ. DINAMICO)
a vuoto (1 MΩ) 320 V c.c. 40 mV
500 KΩ 305 V c.c. 80 mV
50 KΩ 200 V c.c. 350 mV
25 KΩ 180 V c.c. 355 mV
10 KΩ 160 V c.c. 360 mV
5 KΩ 110 V c.c. 400 mV

Tabella 3.1 - Valori al banco di prova per l'alimentatore di figura 3.2. Si osservi l'efficacia del filtro, in particolare per l'induttanza più elevata, nel ridurre la tensione erogata al carico a fronte di una tensione di ondulazione che rimane pressochè costante. 

 

III.2

USO DELLA RESISTENZA-ZAVORRA

   Durante il regolare funzionamento,  la corrente assorbita dal radioricevitore mantiene stabile il filtro ad ingresso induttivo,  ma al momento dell'accensione dell'apparato vi può essere un periodo più o meno lungo in cui l'alimentatore è già attivo ma non vi è ancora assorbimento di corrente da parte del resto del circuito (ad esempio perché i filamenti non sono ancora sufficientemente riscaldati).   Ciò genera,  in particolare,  un picco di tensione iniziale che può rivelarsi molto pericoloso.

   Per garantire un flusso di corrente stabile fin dai primi istanti,  è pratica comune porre una resistenza detta "di zavorra" in parallelo al condensatore di filtro.   La resistenza-zavorra dovrà essere scelta in modo da non avere né un valore eccessivo (che porrebbe l'alimentatore sotto sforzo, generando inoltre molto calore) né un valore troppo modesto (che non garantirebbe un sufficiente drenaggio di corrente).

Figura 3.3 - Inserzione della resistenza-zavorra in parallelo al carico ed al condensatore di livellamento.

   Generalmente in letteratura si raccomanda di scegliere la resistenza-zavorra in modo che fluisca attraverso di essa circa il 10% della corrente necessaria all'alimentazione del radioricevitore.   Poiché mediamente il carico di un radioricevitore si aggira attorno ai 5-10 KOhm,   si può iniziare provando con una resistenza-zavorra di 47-100 KOhm andando a verificare col multimetro se l'attenuazione del picco all'accensione è sufficientemente efficace,  per poi aumentare o diminuire il valore se necessario.   Se il carico è alimentato a circa 200 V (come mediamente accade) la corrente che fluisce all'interno della resistenza-zavorra sarà pari a 4 mA e pertanto essa dovrà essere in grado di dissipare almeno 1 W di potenza (valore che prudenzialmente è bene raddoppiare).

   L'impiego di una resistenza-zavorra presenta anche il vantaggio di garantire un percorso di scaricamento verso terra della tensione ai capi del condensatore di filtro,  in modo che esso non rimanga caricato per tempi lunghi a tensioni potenzialmente pericolose dopo lo spegnimento dell'apparato.

 

III.3

RIDUZIONE DELLA TENSIONE EROGATA: PARTITORE DI TENSIONE, RESISTENZA DI CADUTA

   Qualora l'impiego di un filtro ad ingresso induttivo sia insufficiente o siano necessari più valori di tensione di alimentazione,  un semplice dispositivo per ridurre o suddividere a piacere la tensione a valle del filtro Π è il partitore di tensione resistivo (figura 3.4-a).  Esso sfrutta la caduta di tensione su due (o più) resistenze,  il cui rapporto in Ohm è uguale al rapporto tra le tensioni che saranno presenti ai loro capi.

   E' bene insistere sul punto che,  dal punto di vista delle tensioni,  ciò che conta è il rapporto tra il valore in Ohm delle due resistenze e non il loro valore in senso assoluto,  ovvero un partitore formato da una resistenza da 10 Ohm e una da 100 Ohm (partitore forte) è in linea di principio equivalente ad uno formato da una resistenza da 100 KOhm ed una da 1 MOhm (partitore debole).   Ciò che cambia è la corrente che fluisce attraverso il partitore e che,  in ultima analisi,  potrà essere fornita al carico;   e anche come lo stato del partitore stesso sarà alterato dall'inserzione del carico medesimo se esso è posto in parallelo ad una delle due resistenze.

Figura 3.4 - a) Partitore di tensione;   b) Uso della resistenza di caduta.

   Un partitore forte è in grado di erogare molta corrente al carico senza peraltro essere molto influenzato dalla resistenza interna di quest'ultimo,  ma moltissima energia sarà sprecata poiché convogliata a massa e dissipata,  con un pericoloso riscaldamento del partitore stesso e con il rischio di sforzare (magari inutilmente) l'alimentatore.   Viceversa,  un partitore debole dissiperà pochissima energia elettrica in calore,  ma rischierà di non poter erogare corrente a sufficienza al carico ed il rapporto tra le tensioni sarà pesantemente alterato da eventuali variazioni del carico stesso.   Una volta noto l'assorbimento e la resistenza complessiva del carico,  il calcolo di un partitore diviene elementare e si basa unicamente sulla legge di Ohm ed il teorema di Thevenin.

   Un utilizzo semplificato del partitore di tensione è visibile nella situazione-tipo di figura 3.4-b,  dove un radioricevitore di caratteristiche medie è utilizzato direttamente nello schema del partitore e la resistenza R svolge il ruolo di "resistenza di caduta".   Anche in questo caso,  la tensione sul carico è calcolabile a partire dalla corrente che circola nel ramo.   Se,  ad esempio,  V è 300 Volt,  il carico è 10 KOhm e la resitenza di caduta è 5 KOhm,  la corrente che circola del ramo sarà data da V / R(totale) ovvero 300 : 15000 =  0,02 Ampere.   Il carico sarà pertanto sottoposto a V = R(carico) x i = 10000 x 0,02 = 200 Volt di tensione.   La resistenza di caduta dovrà quindi essere in grado di dissipare almeno W = V x i = 200 x 0,02 = 4 Watt di potenza.

   Se il valore dell'impedenza del carico non è noto a priori,  è possibile determinare sperimentalmente un valore appropriato per la resistenza di caduta partendo da un valore prudenzialmente elevato (ad esempio 100 KOhm) da ridurre per approssimazioni successive,  fino a raggiungere il valore desiderato di tensione sul carico.

   Qualora necessitino più valori di tensione per il funzionamento di un apparecchio,  è sufficiente suddividere ulteriormente il partitore come ad esempio in figura 3.5-a.   In teoria,  con un partitore ben calcolato,  è possibile scendere a qualsiasi livello di tensione si desideri.   Se il carico - come generalmente accade - è collegato in parallelo ad una delle resistenze del partitore,  il rapporto tra le tensioni sarà alterato dalla sua presenza ed il partitore andrà progettato in modo che una delle resistenze sia costituita in realtà dal parallelo tra il carico e la resistenza del partitore,  come ad esempio in figura 3.5-b dove un carico di 40 KOhm (da alimentarsi a 100 Volt) è posto in parallelo ad una resistenza di pari valore per raggiungere i 20 KOhm di figura 3.5-a.   Lo stesso vale se i carichi collegati sono più di uno:   il calcolo delle resistenze,  delle correnti e delle potenze deve essere eseguito sul circuito equivalente di Thevenin,  tenuto presente che i carichi sono ciascuno in parallelo con la propria resistenza di partizione.

Figura 3.5 - a) Partitore di tensione a tre rami;  b) Esempio di inserzione del carico in parallelo.

 

III.4

ALIMENTATORI MISTI CON TRASFORMATORE/AUTOTRASFORMATORE

   Molti trasformatori d'epoca sono dotati di numerose prese intermedie sull'avvolgimento primario per permettere il loro adattamento alle differenti tensioni di rete.   Sempre nell'ambito delle soluzioni "d'emergenza",  si può pensare di utilizzare una delle presa intermedie per sfruttare l'avvolgimento primario come autotrasformatore,  in alternativa o assieme al secondario,  e generare così più valori di tensione differenti.

Figura 3.6 - Prelievo di una tensione ridotta da una presa intermedia dell'avvolgimento primario.

   E' bene ricordare che questo collegamento comporta tutta una serie di rischi sempre legati all'alimentazione ad autotrasformatore,  tra i quali il 50% di probabilità che il telaio dell'apparecchio (e con lui gli alberi di comando dei potenziometri e tutte le viti di fissaggio) si trovi collegato direttamente alla tensione di rete,  con ovvio pericolo di folgorazione a danno dell'utilizzatore.

 

III.5

DUPLICATORE DI TENSIONE A PRESA CENTRALE FLUTTUANTE

   Passiamo a discutere il caso opposto a quello visto finora:   ovvero il caso in cui la tensione erogata al carico sia insufficiente e la si debba innalzare con qualche espediente.   Se si dispone di un trasformatore con presa centrale,  un metodo "classico" per elevare la tensione è quello di lasciar fluttuare la presa centrale senza collegarla a massa,  e di utilizzare i due avvolgimenti ad alta tensione in serie come in figura 3.7 (da confrontarsi col collegamento normale di figura 2.2).   Così facendo,  se per esempio ciascun secondario eroga 200 Volt,  i due secondari collegati in serie offriranno alla rettificatrice una tensione di 400 Volt.

   Non bisogna tuttavia gridare al miracolo per una soluzione tanto semplice in quanto,  come spesso accade,  ciò che si guadagna da un lato lo si perde da un altro.   E' ad esempio evidente che si sta rinunciando a raddrizzare entrambe le semionde,  perché la presa centrale è di fatto inutilizzata.   Si può pensare di recuperare la seconda semionda tramite un ponte di Graetz,  ma il raddoppio della tensione presentata alle raddrizzatrici può superare alcuni parametri di targa delle raddrizzatrici stesse;   ad esempio nelle raddrizzatrici a riscaldamento indiretto (che come abbiamo visto sono in ultima analisi le uniche con cui la costruzione del ponte non presenti problemi proibitivi) l'isolamento tra filamento e catodo raggiunge appena i 500 Volt di picco, ed è un valore dal quale è prudente tenersi ben distanti se si vogliono evitare archi che potrebbero danneggiare la valvola fino a renderla inservibile.   Anche il trasformatore impiegato deve avere un elevato isolamento tra  secondari ad alta tensione e secondari per l'alimentazione dei filamenti,  ed i condensatori di filtro dovranno essere in grado di sopportare tensioni di lavoro superiori a quelle viste finora (sarà quasi certamente necessario ricorrere al collegamento in serie visibile in figura 3.7, che sarà descritto più ampiamente nel capitolo III.8).

   Per queste ragioni,  sebbene l'idea di fondo possa essere sfruttata anche con alimentatori semplicissimi come il primo visto in figura 1.7,  il circuito è presentato in figura 3.7 sotto la forma del ponte di Graetz "ibrido" descritto nel capitolo II.4:   esso consente da un lato il raddrizzamento a doppia semionda che si sarebbe perduto non sfruttando la presa centrale,  e dall'altro di impiegare una rettificatrice a riscaldamento diretto,  in cui catodo e filamento sono il medesimo oggetto fisico e pertanto non si possono presentare problemi dovuti ad una tensione eccessiva tra i due.

Figura 3.7 - Duplicatore di tensione con presa centrale non collegata a massa, qui presentato con raddrizzamento a ponte di Graetz. Il circuito è, nel suo complesso, identico a quello riportato in figura 2.10.

 

III.6

MOLTIPLICATORE DI TENSIONE DI VILLARD

Un secondo gruppo di circuiti che consentono di risolvere in modo molto elegante il problema dell'insufficiente tensione erogata al carico è quello dei duplicatori a diodo-capacità.   Quasi tutti i testi di elettronica propongono,  come esempio di circuiti di questo tipo,  il celebre duplicatore di Villard (figura 3.8-a).   Non vedremo nel dettaglio come opera questo dispositivo,  che è ben descritto altrove (ad esempio in [14]).   Riassumendo all’estremo,  il suo funzionamento è dovuto al fatto che i diodi impediscono ai condensatori di scaricarsi durante una delle due semionde,  e pertanto la carica presente sulle loro armature si somma a quella del generatore.

Figura 3.8 - a) Duplicatore di tensione di Villard;   b) Triplicatore di tensione di Villard.

   La maggiore attrattiva di questo circuito risiede nella sua modularità:   problemi di isolamento a parte,  esso può essere replicato all’infinito permettendo di raggiungere (sempre in teoria) qualsiasi tensione si desideri.   Ad esempio in figura 3.8-b esso viene trasformato in triplicatore di tensione con l’aggiunta di una cella moltiplicatrice addizionale in cascata.

   I moltiplicatori di Villard presentano però almeno due difetti:   il primo è che offrono la rettificazione di una sola semionda,  con tutti i problemi che da ciò derivano.   Secondariamente,  più la tensione viene elevata,  più un prelievo (anche minimo) di corrente provoca un vistoso calo della tensione medesima.   In altre parole:   più si sfrutta l’effetto moltiplicativo,  meno il dispositivo è adatto all’alimentazione di potenza.   Per queste ragioni non ci spingiamo oltre nella sua trattazione e passiamo subito ad introdurre un circuito assai meno noto ma con ben maggiori attrattive nell’ambito della costruzione di alimentatori.

 

III.7

DUPLICATORE DI TENSIONE DI GREINACHER

   Un secondo circuito che consente di risolvere in modo molto elegante il problema dell'insufficiente tensione erogata al carico è il duplicatore presentato in figura 3.9,  che però richiede l'impiego di una valvola raddrizzatrice con doppio catodo del tipo già discusso nel capitolo sui ponti di Graetz.   Più che nelle radio,  circuiti di questo tipo erano largamente utilizzati nei televisori.   L'idea è di far raddrizzare separatamente a ciascun diodo della rettificatrice una semionda della tensione in ingresso.   Per ciascun diodo,  poi,  il valore di picco della tensione è mantenuto grazie ad uno dei due condensatori di spianamento,  i quali sono infine collegati in serie per sommare le tensioni presenti ai loro capi.

Figura 3.9 - Duplicatore di tensione di Greinacher.

   Il grande vantaggio di questa soluzione circuitale è che le tensioni vengono sommate solo nello stadio d'uscita e sono sommate rispetto alla massa,  pertanto tutti i componenti (raddrizzatrice, condensatori, connettori) sono sottoposti solo a metà della tensione che sarà disponibile al carico.    Come si vede dai dati di tabella 3.2,  la coppia di condensatori da 350V dello schema in figura 3.9 sopporta agevolmente una tensione in uscita superiore a 600 Volt.   Inoltre il raddrizzamento sfrutta entrambe le semionde (sebbene il tipo di rettificazione attuata dal circuito non sia paragonabile a quella "a doppia semionda").

   Per prudenza,  è bene osservare come in questo caso la tensione in uscita dall'alimentatore non abbia una massa,  ma sia costituita piuttosto da un polo positivo e da un polo negativo veri e propri.   Se si vuole utilizzare il telaio del ricevitore per i collegamenti al polo negativo,  sarà necessario che esso sia separato dal telaio dell'alimentatore,  ed è importante ricordarsi che tutto lo chassis ed anche le parti ad esso collegate (ad esempio gli alberi dei potenziometri, le viti di fissaggio, ecc.) potrebbero trovarsi a tensioni potenzialmente pericolose per l'utilizzatore.

TENSIONE DEL SECONDARIO CARICO TENSIONE AL CARICO TENSIONE DI ONDULAZIONE

125 V

a vuoto (1 MΩ) 320 V c.c. 50 mV
500 KΩ 315 V c.c. 160 mV
50 KΩ 275 V c.c. 2 V
25 KΩ 250 V c.c. 3 V
10 KΩ 220 V c.c. 5 V
5 KΩ 170 V c.c. 8 V
250 V a vuoto (1 MΩ) 610 V c.c.  
500 KΩ 600 V c.c.  
50 KΩ 520 V c.c.  
25 KΩ 440 V c.c.  
10 KΩ 400 V c.c.  
5 KΩ 300 V c.c.  

Tabella 3.2 - Valori al banco di prova per l'alimentatore di figura 3.9. I valori della tensione di ondulazione per il trasformatore con secondario a 250V non sono stati rilevati poiché la tensione erogata supera l'isolamento massimo dei connettori per oscilloscopi. 

   Il filtro di livellamento del circuito in figura 3.9 è molto elementare ed è paragonabile al semplice filtro capacitivo visto in figura 1.2;   le sue prestazioni (tabella 3.2) sono modeste.   La costruzione di un filtro più efficace pone tuttavia problemi nuovi,  in quanto la simmetria dello stadio di uscita (che è alla radice del raddoppio di tensione) deve necessariamente essere mantenuta.   Non è quindi possibile collegare in serie all'uscita una semplice cella Π supplementare.

   Una prima soluzione da considerarsi è quella di inserire una bobina sulla linea di ritorno,  come in figura 3.10.   Il filtro che si ottiene è paragonabile a quello ad ingresso induttivo visto nel capitolo III.1,  e comporta pertanto una riduzione della tensione erogata.   Scegliere di impiegare un duplicatore di tensione per poi ridurre la tensione medesima nel suo stesso filtro può sembrare un controsenso,  ma vi sono applicazioni in cui le repentine variazioni della corrente assorbita dal carico (come ad esempio nel caso di un amplificatore in classe B) possono rendere consigliabile l'adozione di un circuito di questo tipo.

Figura 3.10 - Duplicatore di tensione di Greinacher, filtro con ritorno di tipo induttivo.

TENSIONE AL SECONDARIO CARICO TENSIONE AL CARICO TENSIONE DI ONDULAZIONE

125 V

a vuoto (1 MΩ) 320 V c.c. 50 mV
500 KΩ 310 V c.c. 140 mV
50 KΩ 230 V c.c. 1,1 V
25 KΩ 200 V c.c. 1,6 V
10 KΩ 160 V c.c. 2,2 V
5 KΩ 110 V c.c. 3 V

Tabella 3.3 - Valori al banco di prova per l'alimentatore di figura 3.10. Il filtro non è particolarmente efficace, e la riduzione di tensione erogata al carico è alta anche con l'impiego di induttanze modeste.

   Una soluzione che si è dimostrata assai più efficace nell'abbattere la tensione di ondulazione consiste nel filtro simmetrico a doppia Π di figura 3.11,  che è paragonabile al filtro a capacità-resistenza visto nel paragrafo I.2.   Ovviamente è possibile affinare il filtro impiegando induttanze al posto delle resistenze,  come già fatto in numerosi esempi precedenti (sperimentalmente, con una coppia bobine da 20 H 200 Ohm la tensione di ondulazione migliora all'incirca di un fattore 10).   Nello stesso schema è anche mostrato come si possa realizzare un duplicatore di Greinacher utilizzando due comuni raddrizzatrici a riscaldamento indiretto.   Si tratta di un tipo di raddrizzamento spesso impiegato in apparati amplificatori di grande/grandissima potenza (ad esempio per la sonorizzazione di sale cinematografiche).

 

Figura 3.11 - Duplicatore di tensione di Greinacher realizzato con due comuni rettificatrici, con filtro d'uscita simmetrico a doppia Π.

TENSIONE DEL SECONDARIO CARICO TENSIONE AL CARICO TENSIONE DI ONDULAZIONE

125 V

a vuoto (1 MΩ) 330 V c.c. 15 mV
500 KΩ 325 V c.c. 25 mV
50 KΩ 280 V c.c. 350 mV
25 KΩ 250 V c.c. 600 mV
10 KΩ 210 V c.c. 1,1 V
5 KΩ 145 V c.c. 1,4 V
250 V a vuoto (1 MΩ) 620 V c.c.  
500 KΩ 620 V c.c.  
50 KΩ 540 V c.c.  
25 KΩ 480 V c.c.  
10 KΩ 420 V c.c.  
5 KΩ 300 V c.c.  

Tabella 3.4 - Valori al banco di prova per l'alimentatore di figura 3.11. I valori della tensione di ondulazione per il trasformatore con secondario a 250V non sono stati rilevati poiché la tensione erogata supera l'isolamento massimo dei connettori per oscilloscopi. 

 

III.8

SUDDIVISIONE DI TENSIONI ELEVATE SU CAPACITA' IN SERIE

   Con l'avvento dell'elettronica dei semiconduttori si sono progressivamente ridotte le tensioni di lavoro dei componenti,  e reperire sul mercato dei condensatori elettrolitici in grado di reggere alte tensioni sulle loro armature può essere un'impresa ardua.   In questi casi,  una soluzione efficace è quella di suddividere la tensione disponendo due (o più) condensatori in serie come in figura 3.11-a,  ricordando che la legge di composizione per le capacità in serie è:

   Il caso più interessante ai fini pratici è quello in cui C' = C'' poiché,  come si evince dalla formula,  si otterrà dalla serie un condensatore equivalente di capacità dimezzata ma in grado di sopportare il doppio della tensione nominale.   Ad esempio,  nello schema visto in figura 2.4 i primi due condensatori di filtro da 22 µF formano complessivamente una capacità di 11 µF,  cioè circa uguale alle successive capacità da 10 µF ma in grado di reggere ben 700 Volt ai suoi capi.

   Per meglio equilibrare le tensioni tra i due condensatori (che a causa delle tolleranze costruttive, usualmente attorno al 20%, potrebbero avere caratteristiche sensibilmente differenti) può essere utile affiancare loro un partitore resistivo del tipo in figura 3.11-b che,  se adeguatamente calcolato,  svolgerà contemporaneamente anche l'utile compito di resistenza-zavorra.

   A tal proposito,  è bene porre in evidenza il fatto che se il collegamento in serie è effettuato con due condensatori di diversa capacità (una situazione che qualcuno potrebbe essere tentato di mettere in pratica nella tipica "riparazione improvvisata domenicale"...) le cose si fanno più complicate perché la tensione non si divide in modo simmetrico,  ma grava in maggior misura sul condensatore di capacità inferiore con un concreto rischio di rottura del medesimo per superamento della tensione di lavoro.   Meglio quindi armarsi di pazienza e,  alla riapertura dei negozi,  acquistare due condensatori identici.

Figura 3.12 - a) Capacità in serie per ridurre le tensioni di lavoro;   b) Capacita' in serie con partitore di equilibrazione delle tensioni.

 

BIBLIOGRAFIA:

[1] Mureddu L.: Radio Antiche. Tecnica, riparazione, restauro. Mosè edizioni, Maser, 2005.
[2] Mureddu L.: L'alimentatore. Il web (leradiodisophie.it).

[3] AA. VV.: Navy electricity and electronics training series. Module 6 - Introduction to electronic emission, tubes and power supplies. NAVEDTRA 14178 (approved for public release).

[4] Montù E.: Radiotecnica. Volume III. Pratica di radiotrasmissione e ricezione. Ulrico Hoepli, Milano, 1944.
[5] AA. VV.: “Manuale di radiotecnica ad uso delle scuole militari”. (Sconoscesi).
Il web (leradiodisophie.it).
[6] Cottignoli F., Baccarini A., Bassura P.: Fondamenti di elettrotecnica ed elettronica. Calderini, Bologna, 1991.
[7] Millman J., Halkias C.C.: Microelettronica. Bollati Boringhieri, Torino, 1978.

[8]
Kronjäger J.: Basic multiplier circuits. Il web (kronjaeger.com).
[9] Chiappetta F.: Magnum: amplificatore monotriodo SEP 845.Costruire HiFi, N° 44, Dicembre 1999.
[10] Loria L.: Alimentatore variabile per circuiti a valvole. Il web (leradiodisophie.it).
[11] Gallino R.: Fisica II. Parte prima: elettrostatica - corrente elettrica. Bellocchio & Delton, Torino.
[12] Vinassa de Regny E., Vinassa de Regny M.: I segreti della radio. Mondadori, Milano, 1976.
[13] Ravalico D. E. - L' audiolibro. Elementi basilari e recenti applicazioni della tecnica del suono. IIª edizione. Milano, Hoepli, 1953.
[14] AA.VV.: Voltage multiplier. Il web (wikipedia.org).

 

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