La Storia - Le Radio di Sophie - Le scale parlanti

Il Mondo dietro a un vetro

Le scale parlanti delle radio d'epoca

Leonardo Mureddu

 

Questa pagina narra la storia della scala parlante, una delle parti estetiche più importanti, belle e delicate dell’apparecchio radio degli anni d’oro. Nelle radio classiche è un vetro stampato con numeri e simboli, illuminato dall’interno con speciali lampadine, che riporta in vari colori le diverse bande ricevibili, e per ciascuna banda le diverse stazioni, indicate con numeri e nomi di città o di reti radiofoniche nazionali e internazionali, spesso misteriose ed esotiche. Si stava davanti all’apparecchio caldo e luminoso, e durante l’ascolto si esplorava con gli occhi la griglia di sintonia, imparandone la speciale geografia. Monte Ceneri, Daventry, Bari II, Madrid, Tokio... tutti questi luoghi avevano il loro quadrettino di riferimento e parevano tra loro vicini e a portata di mano, raggiungibili con la semplice rotazione di una manopola. Un po’ come quando si guardava il cruscotto di una macchina sportiva per sapere “quanto faceva”, si guardava la scala parlante di un nuovo modello di radio per sapere “quante stazioni prendeva”. Più era grande, complessa e fitta di nomi, maggiore era la “potenza” del ricevitore. I produttori lo sapevano e realizzavano scale sempre più complesse e piene di invenzioni a effetto. Ma questo avveniva quando la radio era ormai matura. Dapprincipio la radio era dotata di una semplice scala circolare graduata, o addirittura di una manopola con delle tacche.

Nascita della scala parlante

L’evoluzione è progressiva. Si parte da una semplice scala numerata sul finire degli anni ’20 del secolo scorso, quando la radio comincia a entrare nelle case della gente comune. Prima di quella data, per tutti gli anni ’20 l’apparecchio ricevente era una specie di strumento scientifico: fili, manopole, leve da regolare, scale graduate di difficile comprensione, attrezzi e collegamenti vari che richiedevano conoscenze tecniche non comuni, sulle valvole, sulle regolazioni, sulle batterie di alimentazione.

Nei primi anni ’30 la Radio compare per la prima volta nelle case come oggetto d’arredamento e di svago. L’industria cerca di rendere piacevole il contatto tra un pubblico diffidente e spaventato e un apparato che fino a qualche anno prima era al di fuori della portata dell’uomo comune. Il nuovo apparecchio radio deve avere una bella estetica e apparire facile da usare, alla portata di qualunque membro della famiglia, dal bambino all’anziano, e soprattutto deve essere bene accetto alla massaia che dovrà imparare a servirsene tutti i giorni.

Si manovra con due manopole: una per accendere e regolare il volume, l’altra per ricercare la stazione da ascoltare. Ruotando la manopola attraverso una finestrella illuminata si vede una scala numerata muoversi rispetto a un indice. Appena le valvole sono calde la radio comincia a emettere strani suoni e fruscii che pian piano diventeranno familiari, e una volta centrata la sintonia e regolato il volume ci si può rilassare e concentrare sull’ascolto di voci e musiche che escono attraverso un foro coperto con una tela. Questa è l’operazione di accensione della radio, che da quel momento verrà ripetuta, nella vita di ciascuno, migliaia e migliaia di volte.

La piccola scala riporta dei numeri che possono servire come riferimento di massima: si sa per esempio che nella propria zona la stazione locale si riceve intorno al numero 80, e non interessa sapere niente di lunghezze d’onda e frequenze. Si va nella posizione conosciuta e si sente la radio. Qualche costruttore cercherà di rendere semplice la memorizzazione delle posizioni d’ascolto fornendo all’utente, insieme alla radio, un libretto in cui è possibile annotare, per ogni stazione ricevuta, la posizione delle varie regolazioni. Alcuni modelli addirittura sono dotati di un apposito tamburo di sintonia rivestito di carta, sulla quale è possibile annotare a matita le posizioni esatte d’ascolto.

Nei primi apparecchi domestici non era possibile fissare di fabbrica delle precise frequenze di ricezione, perché i circuiti di allora subivano l’influenza della lunghezza e del tipo di antenna installata, e di altri fattori locali. Quindi era l’utilizzatore che si costruiva con pazienza la sua scala di sintonia, salvo doverla cambiare se spostava la radio o sostituiva l’antenna. Ovviamente non a tutti interessavano queste sofisticherie: per molti era sufficiente, una volta installato l’apparecchio, ricevere le trasmissioni dell’emittente più vicina e più forte, possibilmente nella propria lingua. Per questo motivo, molti costruttori restarono legati alla semplice scala numerica anche dopo che si cominciarono a vedere in giro le prime scale parlanti. Fu in Inghilterra che si cominciò a indicare i nomi dei trasmettitori nelle varie posizioni, e che si passò dalla scala circolare a quella a sviluppo lineare. Alla scala lineare è associato un meccanismo più o meno complesso, basato su cordicelle e pulegge, che ha lo scopo di trasformare il moto circolare del condensatore variabile nel moto lineare di un indice. Questa complicazione, che in seguito metterà a dura prova la pazienza di non pochi riparatori, diventa in breve tempo la norma.

Questi progressi avvengono tra il 1932 e il 1933 e si diffondono rapidamente in tutta l’Europa, e finalmente in Italia dalla fine del 1933. Basta guardare la produzione di una qualunque marca di allora (per esempio la Radiomarelli) per rendersi conto del rapido passaggio dalla finestrella luminosa del Coribante (1932) alla scala rettangolare del Damayante e alla doppia scala del Vertumno (1933). Le scale di allora sono realizzate in celluloide, un materiale traslucido dal colore ambrato, sono illuminate dal di dietro con una luce diffusa, e vengono esplorate da un indice posto davanti alla scala stessa. Il problema della celluloide è che col tempo tende a deformarsi, soprattutto a ritirarsi e a riempirsi di ondulazioni, il che ha provocato la rottura di moltissime scale graduate. Nel frattempo la radio si perfeziona e il numero delle stazioni ricevibili – almeno in teoria – aumenta insieme al numero delle gamme d’onda: lunghe, medie e corte. Questo sviluppo rende sempre più affollato il quadrante.

Tutto il mondo dietro a un vetro

Dopo il 1935, in Europa la scala parlante diventa uno degli elementi preponderanti nel mobile radio, a causa dell’aumento delle esigenze di indicazione. Tra i tanti motivi c’è anche l’aumento delle bande di frequenza per le diverse applicazioni. Le onde medie servono per la diffusione locale o regionale, le lunghe per il broadcasting su scala nazionale, ma solo nelle nazioni dalla conformazione morfologica adatta, es. Francia, Germania, Gran Bretagna. L’Italia con la sua forma allungata e le montagne dovrà rinunciare alla diffusione in onda lunga e si specializzerà nella rete di ripetitori a onde medie. Poi ci sono le onde corte e cortissime, destinate alle trasmissioni verso zone remote, per esempio i territori coloniali o le nazioni oltremare meta di emigrazione. All’interno delle colonie, poi, ci sono delle particolari bande di frequenza (dette onde tropicali) che meglio si prestano alla propagazione nei climi africani. Tutte queste esigenze sono rispecchiate in un aumento delle dimensioni e della complicazione delle scale. Basta osservarne alcune per rendersi conto della ricchezza sempre crescente di indicazioni. Fino alla metà degli anni ’30 si utilizzano ancora le scale in celluloide, ma anche in metallo o cartone, e in questo caso l’illuminazione deve avvenire da un punto anteriore rispetto al pannello stampato. Per questo la scala è spesso arretrata rispetto al fronte della radio, chiuso con un vetro semplice. Tra il vetro e la scala corre l’indice, e da una posizione nascosta in alto arriva la luce delle lampadine. L’adozione della lastra di vetro serigrafata, a partire dal 1936, trasforma ulteriormente la radio in un oggetto bello da vedere, oltre che da ascoltare. La tecnica della serigrafia consente la stampa in colori vivaci, opachi o trasparenti, fino alle tinte pastello chiaro che risaltano solo se il vetro viene illuminato in luce radente, attraverso il suo stesso spessore, con delle lampade potenti disposte intorno al perimetro della lastra.

Questo tipo di illuminazione verrà poi ripreso in tante applicazioni, fino alle attuali fibre ottiche che si basano sullo stesso principio. Il problema di queste realizzazioni sofisticate è che sono delicatissime, come ben sanno quelli che hanno tentato di pulire, anche con un semplice pennello, l’interno di una scala parlante serigrafata degli anni ’30 o ‘40. Spesso basta un po’ di umidità (e il tempo ovviamente) per ridurre in polvere delle meravigliose serigrafie. L’altra tipologia di scale, ossia quelle opache con le finestrelle e i nomi delle stazioni colorati e trasparenti, andava illuminata semplicemente con una luce posteriore, e si dimostrò più resistente, a meno di non venire esposta all’umidità eccessiva.

 

La dial scale negli Stati Uniti

La storia della scala parlante negli Usa è differente, così come la storia della radio in generale è differente da quella della radio europea. L’enorme estensione della Nazione impedisce la diffusione di trasmissioni su un’unica frequenza ricevibile ovunque, ed è necessaria fin dalle origini della radiofonia l’adozione di reti complesse, organizzate in modo tale da coprire il territorio senza sovrapporsi e interferire l’una con l’altra. Inoltre, la radiofonia Usa è da sempre in mano a Compagnie private, che privilegiano il profitto e l’affermazione commerciale, e che quindi preferiscono radicarsi in particolari regioni o aree urbane piuttosto che sull’intero territorio. Questa complessità rende impossibile l’adozione della scala parlante con le indicazioni fisse di stazioni e città, ma sarà necessario limitarsi all’indicazione delle frequenze, così come avverrà da noi con l’avvento della Modulazione di Frequenza. Risale al 1938 ci fu qualche tentativo di realizzare delle scale tarate sulle reti e sui singoli ripetitori ma si dimostrò una soluzione di difficile utilizzo. Alla fine si adottarono scale molto semplici, spesso ad andamento circolare. Questa circostanza rende facilmente riconoscibile una radio americana degli anni ’40 o ’50, rispetto a una sua coetanea europea.

 

Le scale a tamburo e l’occhio magico

In certi casi la scala, per quanto grande, non bastava più per contenere tutte le indicazioni. È il caso dei grossi ricevitori a molte gamme d’onda. La soluzione che adottarono alcuni costruttori fu quella di montare numerose scale parlanti (fino a sette-otto) su un tamburo rotante, che veniva azionato dal meccanismo del cambio-gamma. La più famosa radio che adottò questo sistema fu il modello Esagamma della Imca Radio di Torino. Un vero spettacolo.

Proprio in quegli anni (1937-38) la radio domestica si arricchisce di un altro elemento, non essenziale ma di grande effetto scenico: l’indicatore ottico di sintonia, detto anche pomposamente occhio magico: una valvola speciale con una finestra circolare o rettangolare che si illumina di un bel colore verde, una forma luminosa che cambia a seconda della forza del segnale ricevuto. Un utile ausilio per centrare perfettamente la sintonia di una stazione, ma soprattutto un espediente per aumentare il costo e le vendite degli apparecchi radio.

Sono proprio gli anni a ridosso della seconda guerra mondiale che vedono il culmine dello sviluppo estetico della radio a valvole e dei suoi accessori. Gli anni successivi vedranno un progressivo ridimensionamento dei modelli, sia a causa della grande crisi dovuta alla guerra, sia in seguito all’avvento di nuove tecnologie, tra cui spiccano le trasmissioni in FM e la televisione.

 

Rete Rossa, Rete Azzurra, Terzo Programma

Dopo la guerra l’Eiar, l’Ente radiofonico italiano, è allo sfascio, sia dal punto di vista tecnico (distruzione dei ripetitori) che politico: lo stesso Ente, troppo compromesso col regime fascista, viene liquidato nel 1944 e sostituito dalla RAI. Dal 1945 si cerca di rimettere in piedi qualche trasmettitore e di mettere ordine tra le varie emittenti spontanee, spesso realizzate con apparati militari (vedi la famosa Radio Sardegna, la prima al mondo ad annunciare nel 1943 la fine delle ostilità). Per alcuni mesi le trasmissioni avvengono con programmazioni e reti differenti, una per il Nord, l’altra per il Sud. Solo nel 1946 la rete radiofonica nazionale verrà nuovamente unificata. Nascono le reti colorate, la Rossa e l’Azzurra.

Nell’ottobre 1950 la Rai lancia il Terzo Programma, che da allora sarà sempre contrassegnato da una valenza culturale sulla falsariga del BBC Third Programme inglese. Fin dalla sua nascita il Terzo Programma verrà trasmesso anche, e soprattutto, in Modulazione di Frequenza, una tecnica nuova e rivoluzionaria per allora. Nel 1952, infine, l’ultima trasformazione: la rete Rossa diventa Programma Nazionale (o Primo Programma), la Azzurra Secondo Programma.

Questi pochi riferimenti storici possono essere d’aiuto quando si cerca di datare un apparecchio radio. La presenza di Radio Sardegna a un estremo della banda delle onde medie: 550m, significa che quella scala fu stampata in una data successiva all’armistizio (autunno 1943), ma non molto oltre il 1946 (epoca del riordino delle reti). Naturalmente, molte aziende continuarono per qualche anno a utilizzare scale con indicazioni obsolete, per cui anche queste date vanno prese un po’ con le pinze. Per esempio, la colorazione in rosso o azzurro di certe stazioni a onde medie è un chiaro riferimento alle reti colorate (anni 1946-1952 circa), ma si trovano indicazioni colorate fino alla seconda metà degli anni ’50. Tuttavia, la presenza del Terzo Programma, nella gamma delle onde medie, non può essere antecedente al 1951. Questo tipo di analisi fa parte dell’esame che ogni collezionista effettua prima di acquistare un apparecchio radio sconosciuto, e permette di confutare con poche parole le datazioni spesso fantasiose dei venditori.

 

La FM e la radio con i tasti

Dal 1955 la radio cambia forma, dal tipico “fagiolo” del dopoguerra diventa squadrata, a sviluppo orizzontale, e soprattutto dotata di una tastiera. La scala parlante si adatta a questa evoluzione e diventa a sua volta lunga e stretta, posta in basso proprio sulla tastiera.

Questa è la classica radio AM/FM che resterà in produzione fino alla fine dell’era delle valvole, ossia fino agli albori degli anni ’70. I nomi delle stazioni restano per le bande AM (onde medie e corte), mentre in FM ciò non è possibile, dato l'aspetto prettamente locale delle trasmissioni in modulazione di frequenza. Ogni zona, praticamente ogni provincia ha le sue frequenze, dato che la propagazione avviene solo su distanze ottiche, come per la TV.

Anche in questa trasformazione c'è un periodo di transizione, dovuto anche all’evoluzione della banda assegnata alle FM. Dapprima 88-100MHz (1950-52), poi 88-104 (1954-56), e infine l'attuale 88-108. L’osservazione di questi elementi permette di datare con una certa precisione una scala parlante.

Intanto le onde corte, che erano state in gran voga prima della guerra con tutto il loro fascino esotico e misterioso, pian piano perdono di interesse, almeno per le radio domestiche, fino a essere relegate a una semplice indicazione di frequenza o lunghezza d’onda, per poi scomparire del tutto anche come bande ricevibili. Invece, alcune radio sostengono pomposamente di poter ricevere la TV, in quanto allargando verso il basso la ricezione delle FM è possibile ricevere alcuni dei canali “bassi” della televisione. E questa sarà una caratteristica molto pubblicizzata e posta in evidenza sulle scale parlanti, sebbene non sia mai stata di grande utilità. Infatti per ricevere l'audio della televisione bisognava comunque essere dotati di un'antenna esterna e ben diretta, a meno di non essere a ridosso del trasmettitore.

 

Radio a transistor

Le piccole radio portatili esistono dai primi anni ’50, equipaggiate con valvole speciali a bassissimo consumo, figlie della tecnologia della guerra. Fanno uso di batterie realizzate apposta, piuttosto costose e di breve autonomia. L’avvento del transistor segna la vera svolta. La prima radio italiana a transistor viene commercializzata nel 1957, è veramente portatile, quasi tascabile, e funziona per tantissime ore con due comuni pile da torcia elettrica.

Le piccole dimensioni di queste radio impongono un nuovo stile per la scala di sintonia: solo pochi numeri ben leggibili su una scala graduata molto approssimativa. Ci si abitua rapidamente a trovare la propria emittente locale in corrispondenza di uno di quegli strani numeri che vanno in genere tra 5,4 e 16 (in realtà indicano le frequenze in onde medie), e poi si orienta la radio intera nella posizione di miglior ricezione. La radio a transistor cambia completamente il modo di considerare l’ascolto, senza più la sacralità delle vecchie radio da salotto.

Proprio in quegli anni la radio portatile diventa “strategica” negli Stati Uniti. Tra le tante misure prese dal governo per contrastare eventuali attacchi sovietici (siamo in piena guerra fredda), si pensa a un piano di emergenza, il cosiddetto Civil Defense, che possa fare uso delle radio portatili a onde medie per mantenere un contatto con la popolazione. In uno scenario di guerra nucleare in cui per protezione siano stati oscurati i punti nevralgici della Nazione, centrali elettriche, trasmettitori radio/TV, ci si affida ad alcune trasmittenti a onde medie situate in postazioni segrete e alimentate autonomamente che dovranno fornire istruzioni sul da farsi e indicazioni sul livello delle radiazioni contaminanti, su due appositi canali (640 e 1240kHz). Questi canali vengono per legge indicati su tutte le scale degli apparecchi radio con due triangolini colorati, i CD marks, che saranno presenti dal 1951 al 1963. Molte radio di produzione giapponese, pur essendo dirette al mercato europeo, riportano i cd marks sulle loro scale.

Alcune radio, di dimensioni e potenza maggiore, saranno ancora equipaggiate con scale parlanti simili a quelle delle classiche radio a valvole, ma pian piano questa funzione cessa, soprattutto con l'avvento generalizzato dell'ascolto in FM, per la quale come si è visto non è possibile realizzare scale parlanti.

Il risultato di questa evoluzione finale è, negli anni '60, una scala di sintonia esclusivamente numerica, con poche indicazioni ben visibili come quelle degli anni '20 da cui è cominciata questa breve storia.

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Scale Parlanti

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