La Tecnica - Le Radio di Sophie - Technics

L'alimentatore

La stragrande maggioranza dei guasti dovuti al tempo, all'uso o all'abbandono di un apparecchio radio riguardano i circuiti di alimentazione: resistenze che si bruciano o si interrompono, condensatori che vanno in dispersione, valvole raddrizzatrici che si esauriscono. Il motivo è semplice: tutta la potenza dissipata dal ricevitore passa attraverso l'alimentatore, sottoponendo i componenti a forti correnti e a tensioni elevate. Quando si mettono le mani su una radio antica, occorre prima di tutto capire come è alimentata, qual'è la tensione di rete per cui è predisposta, che tipo di circuito adotta per l' accensione delle valvole eccetera. Domande alle quali spesso è facile rispondere: altre volte ci si trova davanti a dei veri e propri rompicapo.

In queste pagine vediamo brevemente le diverse tipologie usate per gli alimentatori "classici", ossia in corrente alternata, con o senza trasformatore. Prima di tutto però vediamo quali sono le funzioni che deve svolgere un alimentatore, e di conseguenza quali correnti e tensioni deve erogare:

  • Accensione dei filamenti (bassa tensione, alta corrente, alta potenza);

  • Tensione anodica (alta tensione, bassa corrente, alta potenza);

  • Tensione di polarizzazione delle griglie-schermo (tensione medio-alta, bassa corrente, bassa potenza);

  • Tensione di polarizzazione delle griglie-controllo (bassa tensione negativa, bassissima corrente, potenza nulla).

Il grosso della potenza serve per l'accensione dei filamenti e per la corrente anodica (specie della valvola finale), mentre le griglie delle valvole richiedono una frazione modesta della potenza in gioco.

1) Alimentatore italiano classico: trasformatore + raddrizzatore a onda intera

Le Radio italiane di prima della guerra sono quasi tutte equipaggiate con un  circuito di alimentazione basato su un trasformatore con ingresso universale selezionabile (da 110 a 280V) ed una valvola raddrizzatrice a doppia semionda. Il tipico schema è rappresentato nella figura che segue:

Esaminiamolo in dettaglio:

  • Il trasformatore ha un avvolgimento primario e tre secondari. Il primario ha tante prese che fanno capo ad altrettante posizioni del cambiatensione. Questo era necessario in un periodo in cui ogni compagnia elettrica forniva energia alla tensione e frequenza che più le faceva comodo (i 220V unificati sono arrivati solo negli anni '50);

  • Vi sono due secondari a bassa tensione: uno per alimentare i filamenti di tutte le valvole, uno per il solo filamento della valvola raddrizzatrice, del tipo a riscaldamento diretto (vedi la pagina sulle valvole).

  • Il secondario ad alta tensione è in realtà costituito da due avvolgimenti collegati insieme (presa centrale), per sfruttare le due semionde della tensione alternata. Per questo motivo il raddrizzatore è doppio;

  • Infine, il filtro di livellamento è costituito da due condensatori elettrolitici di grossa capacità (per quell'epoca) e da una resistenza di grossa potenza o un'induttanza di filtro. Quasi sempre questa resistenza è sostituita dall'avvolgimento di campo dell'altoparlante (vedi più avanti).

Una volta esaminato (e compreso) il circuito tipico, bisogna imparare a riconoscere tutte le possibili varianti, alcune delle quali costituiscono delle potenziali fonti di problemi per il riparatore alle prime armi. Per esempio, come ho appena accennato, lo stesso altoparlante spesso fa parte del circuito di alimentazione. Infatti negli anni '30 e '40 la maggior parte degli altoparlanti erano del tipo elettrodinamico, ossia sfruttavano un grosso elettromagnete per generare il campo magnetico necessario al funzionamento. La bobina di questo elettromagnete, detta "bobina di campo", era collegata in serie all'alimentazione anodica, e funzionava quindi come induttanza di filtro. Questi altoparlanti si riconoscono facilmente perché sono collegati al resto del circuito mediante più di due fili. Dal dopoguerra in poi questi altoparlanti sono stati sostituiti con quelli di tipo magnetodinamico, che fanno uso di un magnete permanente. Negli schemi elettrici questa variante viene rappresentata grosso modo così:

Una seconda variante molto usata negli anni '40 merita di essere menzionata, se non altro per mettere in guardia il riparatore inesperto, in quanto può essere causa di un errore di collegamento quando si sostituiscono i condensatori di filtro, cosa abbastanza frequente. Osservate la figura qua sotto:

Si tratta di un espediente circuitale per ottenere la tensione negativa di polarizzazione delle griglie mediante una resistenza di ritorno dell’alimentazione. In questo caso si parla di circuiti a polarizzazione fissa di griglia per distinguerli da quelli a polarizzazione automatica, ottenuta mediante la resistenza catodica. La presa centrale del secondario ad alta tensione non è collegata direttamente a massa, come nello schema usuale, bensì tramite una resistenza di opportuno valore (qualche centinaio di ohm). La corrente anodica chiude il suo percorso attraversando la resistenza R dalla massa verso il trasformatore, e così crea una caduta di tensione negativa su R. Questa tensione, opportunamente livellata e divisa da partitori di tensione, viene inviata ai circuiti di polarizzazione delle griglie di una o più valvole del ricevitore. Da notare che in questa configurazione il primo condensatore di filtro ha il terminale negativo non connesso alla massa. Qualche volta il ruolo di resistenza di ritorno è affidato alla bobina di campo dell’altoparlante, che quindi si trova ad essere collegato non sul lato caldo, ma su quello freddo dell’alimentazione anodica, svolgendo un ruolo identico. E’ molto importante imparare a riconoscere queste soluzioni circuitali in fase di ricerca guasti, perché altrimenti si rischia di prendere delle grosse cantonate e compromettere la polarizzazione delle griglie delle valvole, o peggio bruciare la bobina di un altoparlante, magari a causa della semplice sostituzione di un condensatore elettrolitico!

2) Alimentatore con autotrasformatore

Nel dopoguerra, per contenere i prezzi di produzione, cominciò la ricerca di soluzioni circuitali economiche, tra cui la più diffusa è rappresentata senz'altro dall'utilizzo degli autotrasformatori. Un autotrasformatore non è altro che un trasformatore ad un solo avvolgimento. Tutte le tensioni necessarie al funzionamento della radio sono ottenute con apposite prese intermedie di questo avvolgimento, che quindi svolge funzioni sia di primario che di secondario.

In questo caso il circuito dell'alimentatore completo è ben diverso da quello delle figure precedenti, in quanto per esempio non è possibile utilizzare un raddrizzatore a doppia semionda, e inoltre la valvola raddrizzatrice deve essere del tipo a riscaldamento indiretto. Inoltre, questa configurazione presenta un notevole fattore di rischio per l'utilizzatore e per il riparatore, in quanto come si vede tutto il telaio dell'apparecchio risulta collegato ad un capo della rete elettrica. Immaginatevi cosa capitava quando si rompeva o si perdeva una manopola...

3) Alimentatore senza trasformatore

L'utilizzo di valvole adatte all'accensione in serie, ossia con tutti i filamenti collegati l'uno di seguito all'altro, permise di sviluppare una soluzione ancora più economica, quella dell'alimentazione senza trasformatore. Questa tipologia venne sviluppata negli anni '30 per utilizzare la rete di illuminazione stradale che in molte località era in corrente continua anziché alternata, e quindi non permetteva l'uso di trasformatori. In molti Paesi l'alimentatore senza trasformatore divenne comunque molto popolare (per esempio in America dove la tensione di rete era dappertutto fissata a 117V), mentre in altri non si diffuse altrettanto bene, perché non si prestava ad adattarsi facilmente a varie tensioni di rete. Lo schema è semplice ed economico:

Le resistenze servono per generare le necessarie cadute di tensione; per il resto il circuito somiglia a quello dell'alimentatore con autotrasformatore (e presenta gli stessi rischi). Nella figura per semplicità non è disegnato il filamento della valvola raddrizzatrice, ma è anch'esso in serie agli altri. Naturalmente le valvole che si potevano impiegare in questo modo dovevano essere di tipo speciale, tutte con la stessa corrente di accensione, a differenza delle valvole da collegare in parallelo, che invece richiedevano la stessa tensione di accensione.

Per riconoscere se un apparecchio ha le valvole collegate in parallelo o in serie, basta leggere le sigle: se cominciano per E o per 6, allora sono quasi sicuramente in parallelo, se invece cominciano per U o per 12 o altri numeri alti (25, 35...) allora sono quasi sicuramente in serie. Oppure basta fare una prova semplice: ad apparecchio acceso, sfilate una valvola dallo zoccolo: se si spengono tutte le altre allora sono sicuramente collegate in serie, se restano accese allora sono collegate in parallelo. Esistono anche casi intermedi (alcune si spengono, altre no...).

Per chi comincia