Storia - Le Radio di Sophie - History Ascesa e tramonto della Radio d'Epoca (O meglio tramonto, ascesa e tramonto) - Una specie di autobiografia di un vecchio amatore - di L. Mureddu 1) Via vecchia tecnologia! Non ci si crederebbe oggi, ma ricordo bene che negli anni '70, nella mia cameretta da studente universitario, una volta si ruppe la gamba del letto dove dormivo e non trovai niente di meglio per rimettere le cose a posto che sostenere la rete con il mobile di una Radiomarelli RD196 MF, ciò che restava della radio di famiglia. Il resto: telaio, tastiera, trasformatori, valvole e altoparlante, avevo provveduto a distruggerlo negli anni precedenti, tra l'indifferenza generale. Tanto le radio a valvole non servivano più a niente: ora c'erano i complessi HiFi a transistor, freddi e potenti che non si guastavano (quasi) mai. Prima della Radiomarelli avevo avuto per le mani una Phonola 577, sempre di famiglia. Era la radio di cucina, suonava dalla mensola del caminetto. La somma del calore emesso dal focolare più quello della piccola radio bollente sono parte dei miei cari ricordi d'infanzia. Poi fu sostituita da una radiolina a transistor con due pile "torcetta" da 3 volt. Via via che si scaricavano le pile occorreva cercare nella stanza un posto e un'angolazione dove si riuscisse a captare qualcosa. Spesso l'angolazione e la posizione erano precarie, la radio cadeva e si spaccava, e soprattutto si spezzava la bacchetta di ferrite. Io che già a 12 anni ero il "tecnico" di casa provvedevo a incollare il tutto aggiungendo qualche elastico per maggior tenuta. Dopo pochi mesi quella radiolina era impresentabile, ma suonava ancora egregiamente. Tornando alla Phonola, proprio intorno ai 12 anni mi fu regalata viste le mie tendenze sperimentali, e infatti sperimentai a lungo con i pezzi della poveretta, fino a ridurla ai minimi termini. L'unica cosa che conservo ancora è una stecchetta della scala parlante. L'avvolgimento dell'altoparlante mi servì per molto tempo come sorgente di filo per bobine varie, dalle elettrocalamite alle prime radio a galena. Questi piccoli fatti personali possono dare un'idea del trattamento riservato in quegli anni alle radio, che ancora non erano "d'epoca", ma semplice ciarpame inutile. Quando erano fortunate finivano nelle cantine, altre volte semplicemente nelle discariche. Quelle grosse venivano svuotate e trasformate in mobile bar da salotto. Io stesso, verso i vent'anni, per far posto all'arrivo delle nuove tecnologie (circuiti integrati, microprocessori e altre delizie) riempii uno scatolone con valvole, zoccoli, grossi condensatori variabili e altro, e lo portai in una discarica spontanea (un campaccio non lontano da casa). Con un mio cugino giocammo a fare esplodere le valvole scagliandole contro un muretto di mattoni. Mi ricordo anche due belle "807" nuove fiammanti che avevo comprato per costruirmi un trasmettitore. Si sa che a vent'anni la corteccia prefrontale dei ragazzi non è ancora matura e si fanno cose di cui ci si pente. Infatti. 2) Riscoperta e mito Uno che ha fatto simili scempi e poi si è messo a costruire microcomputer e sistemi di controllo per strumentazione astronomica, si direbbe che abbia chiuso definitivamente col mondo delle vecchie radio. Infatti, fosse stato per me non ci avrei pensato più, ma capitai per caso, verso la metà degli anni '80, a visitare un mio vecchio docente di Fisica. Lo trovai in laboratorio intento a riparare una di quelle carcasse. Mi incuriosii e gli chiesi perché. Lui mi rispose che ultimanente gli era tornata la passione per quegli oggetti, e che li comprava quando gli capitava dai rigattieri e nei mercatini. Fu allora che capii che la radio a valvole poteva diventare un hobby. E mi accorsi anche di un'altra cosa: dati i miei trascorsi il mondo delle valvole non aveva praticamente segreti per me, le capivo perfettamente e, sotto sotto non avevo mai smesso di amarle. Mi accorsi anche che il mio maestro ed io non eravamo gli unici a riscoprire la vecchia radio: spuntavano dalle cantine e dai pollai, venivano spolverate e messe in bella mostra nei salotti. Era bastata una assenza di pochi lustri per trasformare il vecchio ciarpame in oggetto di culto: la Radio d'Epoca. Si entra negli anni '90 con questa nuova passione: notate quante pubblicazioni, cataloghi illustrati a colori, quante associazioni di amatori (L'AIRE nasce nel 1990), quante mostre tematiche e commemorazioni nascono proprio in quegli anni. E non solo radio a valvole, anche giradischi e grammofoni a tromba, vecchi telefoni da muro, registratori a bobine dal suono tremulo: tutto viene fuori dagli anfratti dei dimenticatoi, tutto diventa "vintage", nuova parola che viene coniata proprio allora. Il ruolo di quelli come me, che ci capiscono qualcosa, si delinea nettamente. Mi vengono in mente alcuni versi di de André: "E poi se la gente sa - e la gente lo sa - che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare" (sostituite "riparare radio" al posto di "suonare"). Ecco la processione di amici e parenti che vogliono poter riascoltare il suono della vecchia radio, dal cimelio degli anni '20 con l'altoparlante a tromba dal suono stridulo fino ai grossi Grundig a 20 valvole che ci voleva un furgone per trasportarli: di tutto mi è capitato negli anni d'oro della radio d'epoca, e devo ringraziare tutti coloro che si sono fidati di me. Devo dire che sono bravino e ho sempre risolto problemi apparentemente insormontabili, fino alle raffinatezze estetiche della riproduzione di fregi, manopole e scale parlanti. Insomma, non solo radiotecnica, ma anche ebanisteria, chimica, serigrafia. E tanta passione, senza contare le ore diurne e notturne dedicate senza risparmio. Quanto dura questo periodo? Una quindicina d'anni direi. Tutto va bene in quegli anni: i mercatini sono ben forniti di vecchie radio a prezzi onesti; trovi anche scatoloni di valvole e altri componenti; tramite Internet che sta nascendo proprio allora scopri che puoi cercare in tutto il mondo ciò che ti serve, e infatti ricordo una serie di acquisti fatti negli Stati Uniti, che pagavo poco e mi arrivavano miracolosamente senza carichi doganali (poi hanno smesso). In quel periodo riscopro le vecchie passioni per la radio a galena e i ricevitori a reazione. In quel periodo comincio a prendere appunti e a scrivere libri e articoli sull'argomento, a raccogliere libri e documentazione, insomma a diventare un vero "esperto" nel settore. Ricordo, alla svolta del 2000, che ero in contatto con alcuni antiquari della zona, alcuni dei quali acquistavano radio d'epoca nelle fiere inglesi, francesi, tedesche e tornavano con centinaia di pezzi. Moltissimi di quelli passavano per il mio laboratorio dove provvedevo a rimetterli in funzione e a rilucidarli a tempo di record: un secondo lavoro che mi ha permesso di aggiustare i conti in un periodo non troppo roseo per le mie finanze (i problemi della vita). I negozi dei miei amici antiquari si riempivano e si svuotavano senza sosta: regalare una radio d'epoca era di moda, specie se si trattava di una piccola Tesla asimmetrica o una Bush "very British". Molti erano interessati anche alle radio italiane degli anni '50, cariche di ricordi d'infanzia, e poi c'erano i veri collezionisti disposti a spendere una bella cifra per un Radiomarelli degli anni '30 o una Rurale. Bei tempi. Con quel ritmo di lavoro e la varietà dei ricevitori da riparare (anche tanti americani) fui costretto ad accumulare rapidamente tanta esperienza e tantissima documentazione, cose che pian piano sto riversando grazie anche alla collaborazione di Stefania e a questo sito web, nato appunto nel 2001. Oggi ho una biblioteca sulle radio che conta circa mille titoli, ho un archivio di schemi sterminato e un magazzino di pezzi di ricambio comprese migliaia di valvole; una collezione di radio d'epoca che, tra piccole, grandi, a transistor, intere, rotte, irreparabili eccetera arriva forse a duemila pezzi, forse di più. Non li ho mai contati. Alcuni sono esposti in una mostra permanente presso l'Osservatorio di Cagliari dove ho lavorato per quarant'anni. Altri sono stipati dove capita, compreso un grosso seminterrato che ogni tanto si allaga, con buona pace di circuiti e impiallacciature. 3) Tramonto Ma nel frattempo il mondo è cambiato. Intendo proprio il mondo delle radio d'epoca. Intanto nella maggior parte dei casi non possono più essere utilizzate, dato che le trasmissioni in onde medie sono cessate dal 2004. In molte zone non si riceve più niente, e quindi addio anche alle radio a cristallo e a reazione, tutte tecnologie che avevano bisogno di una buona stazione trasmittente vicina e potente. Resta, è vero, la FM, ma le radio degli anni '30 e '40 non avevano quelle bande, e lo stesso capita per molti apparecchi degli anni '50 e '60. Insomma, tutti inservibili. E tra l'altro le stesse trasmissioni FM hanno ormai il tempo segnato. C'è di più: il mondo degli appassionati, che prima veniva dai laboratori o dagli esperimenti domestici, insomma dalla pratica, ora è composto in gran parte da esteti ai limiti del feticismo, collezionisti cultori dell'esteriorità e assolutamente incompetenti di questioni tecniche. Come lo so? passo qualche ora, ogni giorno, a rispondere a richieste di consulenze o suggerimenti. Mi cascano le braccia quando scopro, sempre più spesso, che dall'altra parte della connessione c'è una persona che non sa effettuare una misura col multimetro, che confonde volt con watt e simili. A volte ho pure l'impressione che non sappia neppure leggere ciò che scrivo, ma sicuramente è solo un'impressione. Comunque è impossibile instaurare un dialogo. Queste stesse persone aggrediscono le povere vecchie radio usando sempre criteri estetici: via resistori e condensatori brutti e neri, via i fili del vecchio cablaggio, considerano sospette le valvole che hanno l'interno del vetro annerito (sarà bruciata?); sperano, facendola diventare bella, che diventi anche buona. Tutto ciò, naturalmente, con le dovute eccezioni. Il mio approccio è differente, ma ormai poco popolare: rimettere in funzione sostituendo il meno possibile. Quante volte ho risaldato al suo posto un condensatore che mi appariva sospetto, dopo aver capito che era innocente e che l'avevo accusato ingiustamente. Anche questo è un segno dei tempi che cambiano. Ma è tutta la Radio che sta morendo, non solo quella d'epoca. Recentemente ho sentito proprio alla radio uno spot per me raggelante. Diceva grosso modo così: non riesci a trovare qualcuno che ti possa riparare la vecchia radio? Non riesci più a sintonizzare la tua stazione preferita? Troppi disturbi ti impediscono di ricevere bene? Niente paura, passa allo streaming o al digitale terrestre. Era la stessa Radio (Radio3 in questo caso) che incoraggiava a chiudere con la radio: il mondo ora è del podcast, dello streaming, della radiovisione online. Non so se sono interessato a tutte queste cose, che trovo divisive invece che coesive. Il bello della radio, e per un certo periodo anche della televisione, era anche la simultaneità dell'ascolto: tutti gli spettatori/ascoltatori erano sintonizzati contemporaneamente sullo stesso programma. Il giorno dopo si parlava solo di quello, si scherzava sui tormentoni, si acquisiva un linguaggio comune. Se togli la simultaneità della trasmissione radiotelevisiva, hai trasformato un gruppo di spettatori in un insieme di singoli, come se si potesse andare a teatro e vedere tutti una piece diversa, chi comica, chi drammatica, chi uno spettacolo di spogliarello, chi un concerto. Di cosa parliamo quando usciamo? Quale cultura ci unisce? Queste considerazioni finali vi fanno più o meno capire l'età di chi scrive: uno che ha cominciato la vita prima che ci fosse la televisione, che ha visto nascere la prima radio a transistor, che ha potuto imparare la tecnica delle valvole, poi quella dei transistor e poi ancora quella dei microchip, che ha imparato a programmare in linguaggio macchina i primi processori, ma poi ha sviluppato programmi in linguaggi evoluti per sistemi multiprocessore, che ha studiato la tecnologia del GPS, insomma che si è fatto attraversare da tutta la tecnologia possibile fino allo smartphone. Un uomo veramente fortunato, non trovate? Io mi sento così. 4) Radio e radio Una stessa parola, sostantivo femminile, nome comune di cosa, rappresenta due cose in realtà, una astratta e una concreta. Lo stesso capita quasi con la tv, ma in genere l'oggetto viene indicato al maschile (il televisore) mentre "la televisione" è un concetto astratto, una tecnologia, insomma un'idea. La "radio" invece è sia quel blocco più o meno grande che troneggiava in salotto, sia la "trasmissione radio", sia anche la tecnologia inventata da Marconi. Credo che questi concetti non vadano mischiati, perché se anche è vero che possiamo ascoltare le trasmissioni radio sul computer o dal tv digitale o attraverso altri sistemi, questo non toglie che nel frattempo la Radio sia ormai tramontata. Non sono più le onde radio modulate a portarci voci e suoni, ma pacchetti di dati digitali, che viaggiano per lo più in fibra o su altri supporti fisici. Tornando a me, e alla mia storia personale, posso dire che veramente la Radio è stata la mia compagna di una vita, una grande passione che ho coltivato, si può dire, dagli anni '50 fino a oggi. Ne ho tratto delle grandi soddisfazioni, mi ha permesso di conoscere persone interessanti e intelligenti, di dare un senso anche ai miei viaggi. Ora vedo gli apparecchi a valvole e a transistor esposti nei mercatini, offerti a prezzi bassi. Ma non vedo più interesse da parte dei visitatori. Forse questa generazione ha perso anche la memoria storica dell'oggetto, guardare quei mobili di legno dalle linee arrotondate non suscita più alcuna emozione. Insomma, anche per l'immaginario collettivo la Radio d'Epoca è tramontata. Leonardo Mureddu - marzo 2021 |