La Tecnica - Le Radio di Sophie - Technics

Adattare alla tensione di rete...

(...quando il cambiatensione non arriva fino a 220V)

Il problema

Negli anni d'oro della radio a valvole, le reti europee di distribuzione elettrica fornivano alle abitazioni le tensioni più disparate, che andavano da circa 100V fino a 260V, in corrente continua o alternata. I maggiori costruttori di apparecchi radio, in previsione di possibili esportazioni, dotavano i loro ricevitori di un sistema di adattamento alle varie tensioni della rete, che faceva uso di trasformatori, autotrasformatori o resistenze di caduta. In molti casi invece, specie per i piccoli apparecchi di fascia economica destinati al mercato locale, la tensione di funzionamento era fissa. Questo problema è particolarmente comune per le radio francesi, molte delle quali erano progettate per funzionare a 110V senza alcuna possibilità di regolazione. In Inghilterra, per fortuna, la tensione di rete fu rapidamente unificata intorno ai 220-240V, 50Hz, e quindi gli apparecchi di allora sono perfettamente adatti alle reti elettriche di oggi.

In Italia, dove fino agli anni '50 l'industria elettrica era in mano alle aziende private, ogni produttore sceglieva e distribuiva la tensione e la frequenza che preferiva, e capitava addirittura che in una stessa città diversi quartieri fossero serviti con standard differenti. Questa disomogeneità favorì lo sforzo dei costruttori italiani di dotare i loro apparecchi di trasformatori di alimentazione con primario "universale", con un cambiatensione regolabile tra 110 e 220V con parecchi valori intermedi. Tuttavia anche in Italia non mancano gli esempi di piccoli apparecchi radio, specie quelli da comodino senza trasformatore, adatti a funzionare solo con tensioni basse, da 110 a 140V. Spesso i costruttori di questi apparecchi fornivano a parte, su richiesta, un apposito adattatore resistivo da collegare sulla presa di alimentazione nel caso di utilizzo con reti a tensione maggiore. Quindi non è raro che ci capiti per le mani un ricevitore, anche italiano, non adatto per funzionare a 220V.

Se poi la radio proviene da oltre Oceano, allora non vi sono dubbi: la tensione di rete americana era (ed è) di 117V nominali, con frequenza di 60Hz. Di conseguenza nessun apparecchio radio americano può essere collegato direttamente alle nostre prese di corrente, pena la distruzione immediata di qualche componente, trasformatore, valvola o altro.

Riassumendo, dunque, il problema è quello di adattare nel modo migliore ai nostri 220-230V un apparecchio radio costruito per funzionare a tensioni più basse. In queste pagine vi presento tutta la rosa delle soluzioni possibili, dalle più pulite alle più sporche, lasciando poi  a ciascuno la scelta su quale utilizzare e come implementarla nel proprio apparecchio.

 

Avvertenza generale

Questa pagina è dedicata ai riparatori un po' esperti.

 

Apparecchi con trasformatore

Gli apparecchi dotati di trasformatore o autotrasformatore di alimentazione, siano essi europei o americani, hanno in genere al loro interno spazio sufficiente per poter ospitare un secondo trasformatore di adattamento. Conoscendo la potenza assorbita dal ricevitore in questione, in genere sempre al di sotto dei 100VA, non è difficile recuperare un trasformatore di potenza adeguata che permetta di adattare la tensione. Il caso tipico è quello di un apparecchio americano che funzioni con 117V e assorba 30-40VA. La soluzione più semplice, in questo caso, è quella di acquistare un trasformatore adattatore, reperibile presso i buoni negozi di materiale elettrico, con ingresso 220V, uscita 117V, 50VA. Questi trasformatori (o autotrasformatori) hanno spesso la presa d'uscita adatta per la spina americana, e quindi ci permettono di lasciare inalterato il cordone di alimentazione della nostra radio. Volendo rendere fisso l'adattamento, dovremo trovare all'interno del mobile dell'apparecchio un posto per poter fissare il trasformatore in modo stabile, possibilmente con qualche vite in modo che resti al suo posto senza vibrare. Questa è una soluzione "pulita". Se vogliamo risparmiare sull'acquisto del trasformatore apposito (10-15 euro), possiamo ricorrere ad una soluzione leggermente più sporca. Si tratta di utilizzare come autotrasformatore l'avvolgimento primario di un qualunque trasformatore che abbia la presa per i 110V, smontato da qualche utilizzatore in disuso. Mi spiego meglio. Molti apparecchi in uso negli anni scorsi, specie se di fabbricazione giapponese, avevano un cambiatensione a due posizioni: 117V (per il mercato americano e asiatico) e 220V (per il mercato europeo). Questi apparecchi montano un trasformatore come quello che serve a noi, ossia dotato di presa intermedia sul primario. La figura qua sotto mostra come va utilizzato il trasformatore per il nostro scopo.

 

 

La soluzione appena vista può essere adottata con qualunque tipo di ricevitore, anche se non è dotato di trasformatore, purché sia rispettato il dimensionamento, ossia la massima potenza erogabile dal nostro trasformatore di adattamento. A questo scopo è bene precisare, a scanso di equivoci, che spesso i piccoli apparecchi senza trasformatore consumano molta più energia di quelli grossi, quindi, in caso di dubbio, sarà bene fare qualche conto o almeno una stima dell'assorbimento di potenza richiesto (vedi nel seguito di questo articolo). In ogni caso, una volta fatto il collegamento del trasformatore di adattamento, è buona norma eseguire un buon collaudo tenendo d'occhio le tensioni erogate e soprattutto la temperatura di esercizio del trasformatore. Se diventa molto caldo, tanto da non poterci tenere a lungo una mano poggiata sopra, vuol dire che lo stiamo sovraccaricando, con un certo rischio di danneggiarlo.

 

Apparecchi senza trasformatore

Affrontiamo ora il caso più diffuso e probabile: quello di un ricevitore privo di trasformatore, adatto per funzionare a 117V/60Hz (americano), 110-125V/50Hz o 110-125V/c.c. (francese o italiano). Diciamo subito che la frequenza di rete non rappresenta un problema per l'alimentazione: un apparecchio adatto a funzionare con 117V/60Hz funzionerà altrettanto bene con 117V/50Hz, sebbene in teoria bisognerebbe ritoccare i valori dei condensatori di filtro, i quali però in genere sono già sovradimensionati, specie se sono stati sostituiti recentemente.

Dunque nel seguito di questo articolo non ci occuperemo più della frequenza di rete, eccetto che per un piccolo particolare che vedremo alla fine...

Anche la tensione nominale di funzionamento non è mai particolarmente critica: un apparecchio che riporta in etichetta la tensione di 117V funzionerà anche con 110 o 125V d'ingresso. In caso di dubbio, comunque, è sempre meglio sottoalimentare piuttosto che sovralimentare un circuito.

Avverto fin d'ora che la trattazione di questo argomento richiede l'uso di un po' di matematica e qualche nozione di fisica, almeno al livello della legge di Ohm che stabilisce quanta corrente scorre in un circuito di resistenza nota:

 

altre formule non molto più complesse di questa verranno date nel seguito. E veniamo ai nostri ricevitori.

 

Il classico ricevitore senza trasformatore ha i filamenti delle valvole collegati in serie. Esistono diversi tipi di valvole adatte per l'accensione in serie, e si distinguono per la corrente di accensione. Le due serie più note sono quella "americana" (corrente di accensione 0.15A) e quella "europea" (corrente di accensione 0.10A). Le valvole di quest'ultima serie hanno la sigla che comincia per "U". Questi sono i tipi in uso nel dopoguerra, con zoccoli del tipo "rimlock", "noval" o "miniatura". Esistono anche delle serie più antiche, con zoccolo octal o americano, che furono usate nelle piccole radio francesi "tous-courants" e nelle famose "all american five" dei primi anni '40. In alcune di queste serie, specie nel caso delle piccole radio francesi, la corrente di accensione è di 0.3A. La corrente di 0.3A la si ritrova nuovamente nelle valvole per televisore, quelle con la sigla che comincia per "P".

Qualunque sia la serie di valvole montata, il tipico circuito di alimentazione di una radio senza trasformatore ha l'aspetto raffigurato qua sotto.

 

 

- Figura 1 -

 

nel quale è facile riconoscere i tre percorsi principali della corrente di alimentazione: accensione dei filamenti, corrente anodica e lampadine di illuminazione della scala di sintonia. La valvola raddrizzatrice è sempre a riscaldamento indiretto, ed è sempre un diodo semplice (raddrizzatore a mezz'onda). Le tre resistenze raffigurate nello schema sono spesso parzialmente coincidenti, e in molti casi le lampadine sono messe in serie ai filamenti delle valvole. Comunque sia, il concetto è quello di limitare la corrente diretta alle varie parti del circuito mediante l'uso di apposite resistenze.

 

Accensione delle valvole

Nello schema qua sotto è indicato solo il circuito di accensione delle valvole, e non quello dell'alimentazione anodica e dell'accensione delle lampadine. Per ora concentriamoci solo sui filamenti, perché costituiscono la fonte di maggior assorbimento di potenza. La tensione d'ingresso (Vac) provoca nel circuito una corrente che dipende dalla resistenza totale, ossia dalla somma delle resistenze dei filamenti più la resistenza R1.

 

 

 

Quest'ultima è chiamata "resistenza di caduta" e serve per aggiustare i conti in base alla tensione di alimentazione. Facciamo subito un esempio. Prendiamo in considerazione le valvole europee della serie "U" con zoccolo rimlock, e precisamente: UCH42 (convertitrice), UF41 (amplificatrice FI), UBC41 (detector, preamplif. BF), UL41 (amplificatrice finale), UY41 (rettificatrice). Queste sono le cinque valvole di una comunissima radio economica degli anni '50. Sono tutte alimentate con la corrente di 100mA, ma con diverse tensioni, e precisamente:

 

UCH42 14V
UF41 12,6V
UBC41 14V
UL41 45V
UY41 31V
TOTALE (Vf) 116,6V

 

E' da notare che con la tensione di 110V questi filamenti risulterebbero leggermente sottoalimentati, e che comunque non sarebbe necessaria alcuna resistenza di caduta. In tutti gli altri casi, data la tensione di rete è possibile calcolare il valore di R1. Per prima cosa si deve calcolare la tensione (Vc) che si vuole far "cadere" sulla resistenza

Vc=Vac-Vf

 

Per esempio se Vac è di 117V non occorre alcune resistenza di caduta, con 125V abbiamo

 

Vc = 125-117 = 8V

mentre con 220V si ha

Vc = 220 - 117 = 103V

 

Conoscendo Vc è facile trovare il valore di R1, usando la legge di Ohm (la corrente la conosciamo). Nel caso dei 125V abbiamo:

Nel caso dei 220V, R1 ha un valore molto maggiore:

 

Quindi, in teoria basta calcolare la resistenza giusta, metterla in serie ai filamenti ed il gioco è fatto! In teoria sì, in pratica bisogna anche fare i conti con la potenza, in quanto ogni resistenza percorsa da corrente dissipa energia trasformandola in calore. La regola per calcolare la potenza dissipata da una resistenza è anch'essa molto semplice:

 

(le varie forme in cui si può scrivere la formula discendono tutte dalla legge di Ohm). La potenza dissipata è dunque proporzionale alla resistenza e va col quadrato della corrente. Nel caso della resistenza da 80ohm percorsa dalla corrente di 0.1A si ha:

da cui si vede che una resistenza da 1W è più che sufficiente per dissipare la potenza in eccesso. Nel caso dei 220V, ossia con R1=1030ohm, la potenza in gioco è molto maggiore:

E' necessario un resistore da almeno 10W, che durante il funzionamento dell'apparecchio diventa molto caldo e quindi va tenuto lontano da elementi delicati, quali condensatori, fili o lo stesso mobiletto dell'apparecchio.

Se le valvole usate non sono della serie europea, ma della serie americana con accensione a 150mA, (per esempio la serie miniatura 12BE6, 12BA6, 12AT6, 50B5, 35W4: totale 122V circa), ricalcolando R1 con le formule di qui sopra otteniamo

ossia è necessaria una resistenza minore ma di maggior potenza.

Infine, se guardiamo dentro una "stufetta" francese dei primi anni '40, equipaggiata con valvole octal riscaldate a 300mA (6E8, 6M7, 6Q7, 25L6, 25Z5: totale 68,9V, 300mA) e facciamo i conti per dimensionare la resistenza di caduta, otteniamo un risultato abbastanza sconcertante: anche per farla funzionare a 110V questa radio ha bisogno di una resistenza da 137 ohm, 13W, che in genere è già presente sul telaio; se poi volessimo alimentarla a 220V saremmo costretti a inserire una resistenza da 503 ohm, 50W! Un elemento del genere è difficile da gestire, dato che irradia calore e soprattutto riscalda l'aria circostante, con conseguenze spiacevoli per la circuiteria e per il mobiletto dell'apparecchio, spesso di dimensioni molto ridotte.

Un'ultima considerazione prima di passare ai vari metodi per adattare la tensione. Le correnti e le tensioni indicate qui sopra e nei manuali delle valvole si riferiscono sempre all'assorbimento "a caldo" del filamento. Come si sa, la resistenza di un metallo dipende in modo sostanziale dalla sua temperatura, e più precisamente è tanto maggiore quanto più alta è la temperatura. Si dice che ogni metallo ha il suo "coefficiente termico" di resistenza. Il filamento di una valvola passa dalla temperatura ambiente fino all'incandescenza, e di conseguenza la sua resistenza cambia in maniera sostanziale, più bassa all'accensione, più alta a regime. Questo fenomeno provoca una sovracorrente iniziale di cui è bene tener conto. 

 

Adattamento resistivo

Il discorso fatto sopra circa la resistenza di caduta per i filamenti può essere ovviamente allargato a tutto l'apparecchio, ossia ci permette di dimensionare una resistenza di caduta in grado di portare la tensione d'ingresso al valore previsto dal costruttore. Alla potenza utilizzata dai filamenti va aggiunta la potenza destinata all'alimentazione vera e propria della radio, ossia quella dei circuiti anodici, di polarizzazione eccetera, nonché l'eventuale potenza assorbita dalla lampadina con relativa resistenza di caduta. Se consideriamo ancora la Figura 1 all'inizio di questa pagina, possiamo sempre considerare tutto l'apparecchio come se fosse un'unica resistenza, data dalla combinazione di tutti i carichi. Una volta conosciuta la resistenza equivalente sarà poi facile calcolare il valore di resistenza da aggiungere per avere la corretta caduta di tensione.

 

Figura 2

 

Il problema è quello di calcolare accuratamente il valore di R(equiv), dato che in genere, mentre conosciamo la corrente dei filamenti e quella delle lampadine, non conosciamo se non approssimativamente l'assorbimento sulla linea anodica. Un'alternativa al calcolo di R(equiv) è quella di misurare direttamente la corrente assorbita dall'apparecchio in funzione alla tensione nominale. Per fare questo, occorre disporre di un trasformatore (o autotrasformatore) di adattamento, oggetto quasi sempre presente sul banco di un hobbista radiotecnico, e di un amperometro in c.a. (il tester va benissimo). Basta disporre l'amperometro in serie tra l'uscita del trasformatore e l'ingresso della radio, e misurare la corrente assorbita quando la radio è a regime.

Attenzione! Prima di effettuare la misura di assorbimento è necessario accertarsi che l'apparecchio sia in perfetto stato di funzionamento, in caso contrario occorre ripararlo prima di effettuare l'adattamento di tensione. Questo al fine di evitare misure falsate, causate da condensatori in perdita o resistenze alterate.

Una volta misurata la corrente I(tot), è semplice ottenere il valore della resistenza equivalente (ancora con la legge di Ohm):

R(equiv) = Vac/I(tot)

 

Per esempio, se misuriamo la corrente di 0.22A con 110V di alimentazione, avremo per R(equiv):

 

R(equiv) = 110 / 0.22 = 500ohm

 

che significa che dal punto di vista dell'energia elettrica assorbita il nostro ricevitore si comporta come se fosse una resistenza da 500ohm. A questo punto possiamo calcolare la resistenza di caduta utilizzando il procedimento visto sopra per i soli filamenti. Nel caso dell'esempio avremo

 

Rc = (220 - Vac) / I(tot) = (220 - 110) / 0.22 = 500ohm

 

resistenza che deve essere dimensionata per dissipare la potenza di circa 25W.

Quello dell'esempio è un caso tipico, facile da riscontrare con ricevitori europei o americani equipaggiati con valvole a basso consumo, e già porta a dover installare una resistenza da 25W, con notevoli problemi di dissipazione termica (in pratica la resistenza da aggiungere consuma quanto tutto l'apparecchio!). Comunque questa resta l'unica soluzione, in alternativa al trasformatore riduttore di tensione, qualora non si volesse procedere ad alcuna modifica del circuito originale. E' quindi la soluzione da adottare quando si ha a che fare con apparecchi di un certo pregio.

Per fissare ulteriormente le idee, vediamo quale resistenza esterna dovremmo aggiungere per adattare alla tensione di 220V un ricevitore italiano molto noto, il Radiomarelli mod. "Fido" RD120, di cui nella figura che segue è mostrato il circuito di alimentazione.

 

 

Per questo apparecchio era previsto un apposito riduttore esterno per le reti a 220V, una sorta di barilotto metallico bucherellato da inserire sulla presa del muro. Questo barilotto conteneva il resistore. Per calcolare la resistenza di questo elemento facciamo uso del valore nominale della corrente anodica indicata nello schema (65mA), e calcoliamo la somma dei filamenti della valvole (serie americana miniatura: totale 122V con 150mA). Trascurando l'assorbimento della lampadina, che e' messa in derivazione su un tratto del filamento della 35W4, otteniamo un totale di 215mA con 125V, da cui risulta necessario, partendo da 220V, inserire una resistenza esterna da 440 ohm, circa 20W. Per ogni apparecchio la resistenza di adattamento era diversa: quello della foto qua sotto, per esempio, di fabbricazione francese, riporta un valore di resistenza di 735 ohm, e non sarebbe adatto per il Fido Radiomarelli.

 

 

Metodi per ridurre il riscaldamento

L'idea di inserire la resistenza di caduta in una scatola esterna è già di per sé un buon rimedio contro il surriscaldamento dell'apparecchio radio. Tuttavia, questa soluzione presenta qualche inconveniente, non ultimo il rischio di provocare danni a causa dell'alta temperatura raggiunta dall'adattatore. Molti costruttori, specialmente francesi e inglesi, adottarono anche il sistema del "cordone resistivo", ossia una resistenza distribuita su tutto il cordone di alimentazione, in modo da favorire la dispersione termica. In pratica uno dei capi del cordone bifilare era costituito da un sottile filo di nikel-cromo avvolto a spirale su un supporto di fibra d'amianto (attenzione!), il tutto poi era rivestito con il solito cotone tubolare. Durante il funzionamento della radio questi cordoni diventano tiepidi, da cui il nome di "hot tail" (coda calda) dato scherzosamente a questi apparecchi. In altri apparecchi, specie di fabbricazione inglese, il ruolo di elemento dissipativo è affidato ad una speciale ampolla ("ballast": zavorra, o anche "barretter") simile ad una valvola (vedi foto qua sotto) studiata in modo da stabilizzare la corrente assorbita dall'intero apparecchio. L'ampolla, riempita con gas inerte, contiene un lungo filamento di una lega d'acciaio caratterizzata da uno speciale coefficiente termico di resistività: se la corrente tende ad aumentare oltre un certo valore, per esempio all'accensione dell'apparecchio o in seguito a uno sbalzo di tensione, la resistenza di ballast aumenta in modo repentino, mantenendo così stabile la corrente nei filamenti. Un sistema analogo fu utilizzato in seguito, anche in Italia, mediante l'uso dei "termistori", elementi a semiconduttore con coefficiente termico negativo.

 

Tubo "ballast"

 

Volendo modificare in modo permanente un apparecchio per adattarlo alla tensione usuale di 220V senza l'uso di scatolette esterne - trasformatori o altro - e limitando la dissipazione termica a livelli tollerabili, si può ricorrere a diverse soluzioni, che tuttavia richiedono una qualche modifica del circuito. Possiamo raggruppare le varie soluzioni in tre diverse categorie:

  1. Metodo resistivo modificato;

  2. Diodo + resistenze;

  3. Condensatore

Il primo metodo fa sempre uso di resistenze di caduta, ma si avvale anche di qualche piccola modifica circuitale in modo da ottimizzare il percorso della corrente; il secondo fa uso di un diodo raddrizzatore per dimezzare la potenza inviata ai filamenti; il terzo fa uso della reattanza capacitiva di un condensatore per ottenere la necessaria caduta di tensione. Vediamoli uno alla volta.

 

Resistivo modificato

Osservando lo schema di un apparecchio con le valvole alimentate in serie, spesso è possibile trovare il modo di modificare alcuni collegamenti e sostituire qualche componente in modo da distribuire la necessaria caduta di tensione non su un'unica resistenza di grande potenza, ma su diversi elementi tra cui le stesse lampadine della scala, in modo da rendere più tollerabile la dissipazione termica.

Consideriamo lo schema di fig. 2 (sopra), nel quale sono evidenziati i tre percorsi della corrente di alimentazione: filamenti, anodica e lampadine. In questo caso le lampadine sono in parallelo ai filamenti, e vengono alimentate tramite una apposita resistenza di caduta. Un'idea che viene spontanea è quella di unificare i due circuiti, in modo da sommare la tensione delle lampadine a quella dei filamenti.

 

 

Qui occorre avvisare di un rischio. Abbiamo visto che la resistenza a freddo di un filamento è molto minore di quella a regime, il che provoca una forte corrente all'accensione, che diminuisce gradatamente col riscaldamento dei filamenti. Inoltre i filamenti delle valvole si scaldano molto lentamente, impiegando spesso decine di secondi per andare a regime; al contrario il filamento di una lampadina raggiunge quasi istantaneamente la temperatura e la resistenza di esercizio. Se si mette in serie ai filamenti una lampadina adatta per la corrente nominale di accensione delle valvole, il suo filamento sarà sottoposto alla sovracorrente iniziale di accensione, molto più forte di quella nominale, col rischio di bruciare la lampadina stessa in un lampo. Per ovviare a questo rischio si usano in genere due sistemi: il primo è quello di sovradimensionare le lampadine per quanto riguarda la corrente di funzionamento, il secondo è quello di mettere in parallelo alle lampadine una resistenza appositamente calcolata. Questa resistenza ha anche lo scopo di mantenere la continuità del circuito qualora una delle lampadine si fulminasse.

La figura qua sotto mostra la sezione alimentatrice del famoso ricevitore inglese Bush DAC90, un tipico esempio di apparecchio senza trasformatore, dotato di valvole rimlock della serie "U" (UCH42, UF41, UBC41, UL41, UY41). L'apparecchio funziona con tensioni comprese tra 200 e 240V.

 

 

Le lampadine della scala sono poste in serie a tutta l'alimentazione. La resistenza R18, in parallelo alle lampadine, ha il valore di 75 ohm, e l'intera resistenza di ballast R17, è di 1250 ohm, 15W. Il valore così elevato di resistenza è dovuto al basso assorbimento delle valvole utilizzate, che richiedono solo 100mA di corrente per i filamenti. Il resistore R17 è comunque montato su un apposito supporto metallico che facilita la dispersione termica. Le lampadine, da 3.5V - 150mA sono decisamente sottoalimentate nel funzionamento normale, tanto che la scala di sintonia risulta solo debolmente illuminata. Questo è un inconveniente tipico delle radio alimentate in questo modo. Questo sistema può essere utilizzato, con qualche variante, in tutti gli apparecchi con valvole alimentate a 100 o 150mA, avendo l'accortezza di utilizzare lampadine adatte per tensioni elevate, per esempio 24V, 3W, con in parallelo una resistenza in grado di assorbire adeguatamente la sovracorrente di accensione. Un uso accorto delle semplici formule introdotte all'inizio (legge di Ohm e calcolo della potenza) permette di trovare caso per caso la soluzione migliore  in termini di pulizia, sicurezza e dissipazione termica complessiva.

 

Diodo + resistenze

In molto casi l'utilizzo di sole resistenze non è in grado di risolvere il problema della grande potenza da dissipare, specie nel caso di apparecchi di piccole dimensioni con il mobile in plastica o in legno: la grande quantità di calore prodotto rischia di rovinare, fondere o carbonizzare il mobile. Una soluzione alternativa è quella di alimentare i filamenti (solo quelli!) attraverso un diodo raddrizzatore seguito da una resistenza. Sappiamo che un diodo ha la proprietà di lasciar passare la corrente in un solo senso, se quindi lo sottoponiamo ad una tensione alternata, lascerà passare solo le semionde di un segno (per esempio le positive), bloccando quelle di segno opposto (le negative). In termini di potenza, se il carico è puramente resistivo il diodo lascia passare metà della potenza. Ho enfatizzato la condizione che il carico sia puramente resistivo, in quanto in presenza di carichi di diverso tipo, capacitivi o induttivi, il discorso si fa molto più complicato. Se il carico è una resistenza pura, come quella dei filamenti delle valvole, si può ragionare in termini di "potenza efficace". Senza scendere troppo nei dettagli, che comunque si trovano in qualunque testo di elettrotecnica elementare, vediamo rapidamente cosa succede.

 

La figura qua sopra mostra l'effetto del diodo, che elimina tutte le semionde negative della corrente. In assenza di diodo, la potenza assorbita dalla resistenza è

Una volta inserito il diodo, dato che la potenza viene dimezzata, potremo scrivere

Dove V è la tensione efficace ai capi del carico Rc. Possiamo ora calcolarci il valore di V:

 

In altre parole, l'effetto del diodo è quello di ridurre la tensione ai capi del carico di un fattore 0.71 qualunque sia la tensione d'ingresso e qualunque sia la resistenza del carico, purché, ripeto, quest'ultimo sia resistivo. Se applichiamo questo principio ad un ricevitore con alimentazione in serie, l'uso del diodo in serie ai filamenti provoca una caduta di tensione da 220V a 220 x 0.71 = 155.5V, senza praticamente alcuna dissipazione di potenza.

Vediamo subito un esempio di applicazione, e consideriamo un caso estremo per evidenziare il vantaggio in termini di potenza. Il caso estremo è la classica radiolina francese "tous-courants" dei primi anni '40, equipaggiata con valvole octal con i filamenti alimentati a 300 mA (6E8, 6M7, 6Q7, 25L6, 25Z6: totale 70V). Anche aggiungendo qualche lampadina in serie, per esempio due da 6.3V, 0.3A, si può rimediare ancora una caduta di altri 10V e arriviamo a 80V. Per arrivare a 220V ne mancano ancora 140, che con una corrente di 0.3A danno una potenza di ben 42W. Inserendo il diodo in serie la situazione migliora notevolmente: la caduta di tensione necessaria sarà di soli 80V circa, e la potenza scende a 24W. Una parte di questa potenza è in genere già dissipata da un'apposita resistenza montata sullo chassis, quindi non resta che aggiungere la resistenza mancante. Occorre sempre tener conto del fatto che il diodo può essere utilizzato solo per l'alimentazione dei filamenti e delle lampadine, e non deve essere messo in serie al circuito di alimentazione anodica. Lo schema qua sotto mostra un possibile montaggio di un riduttore di tensione basato sul metodo suesposto nel caso di valvole rimlock della serie "U".

 

 

Come si vede, a questo punto sono necessarie solo due resistenze di caduta, per una dissipazione complessiva di 6W, decisamente accettabile anche in un mobiletto di materiale plastico di piccole dimensioni. Il diodo scelto (1N4007) è un piccolo rettificatore al silicio, in grado di erogare una corrente di 1A con una tensione di picco inversa di 1000V.

 

L'uso del diodo sembra quindi essere una buona soluzione per limitare la potenza dissipata all'interno della radio. Vi sono tuttavia alcuni aspetti negativi di cui è bene essere consapevoli:

  1. E' difficile misurare la tensione a valle del diodo stesso. Trattandosi di una tensione unidirezionale pulsante, occorrerebbe misurarla con un voltmetro a valor efficace, che in genere non fa parte della normale strumentazione di un radiotecnico. Si ottengono risultati accettabili con un voltmetro analogico in corrente continua, con l'accortezza di moltiplicare per pigreco/2 (1.57) il valore letto. Non è facilmente prevedibile il risultato che si ottiene con strumenti digitali.

  2. Un guasto del diodo tende a portarlo in cortocircuito, cosa alquanto pericolosa perché sottoporrebbe le valvole a una corrente eccessiva, e potrebbe passare inosservato fino all'interruzione di un filamento. Per ovviare almeno parzialmente a questo rischio è consigliabile sovradimensionare il diodo stesso, utilizzando per esempio un elemento da 3A, 1000V (1N5408), avendo l'accortezza di montarlo lontano da fonti di calore. Anche l'installazione di un fusibile ben dimensionato potrebbe risultare utile.

  3. In alcuni casi si potrebbe notare un aumento del ronzio di fondo della radio, a causa della corrente che alimenta i filamenti. Si può ovviare inserendo un condensatore da 22nF, 1000V in parallelo al diodo.

Condensatore

Un condensatore presenta una reattanza rispetto alla corrente alternata, ossia si comporta come una specie di resistenza, seppure con notevoli differenze rispetto a quest'ultima. Un condensatore può quindi essere utilizzato per fornire la corretta caduta di tensione per l'alimentazione di un apparecchio radio, col grande vantaggio che non dissipa alcuna potenza.  L'unico problema è quello di calcolare con la necessaria precisione il valore di capacità necessario. Per fare questo occorre una matematica leggermente più complessa di quella vista finora.

La formula per il calcolo della reattanza capacitiva, ossia della resistenza in corrente alternata di un condensatore, tiene conto sia della capacità che della frequenza della corrente:

 

Dove Xc è appunto la reattanza (e si misura in ohm), f è la frequenza (Hertz), C la capacità (Farad). Poiché il nostro scopo è quello di calcolare il valore della capacità, la formula di sopra può essere riscritta come segue:

 

Sapendo che la frequenza di rete è fissa, e vale 50Hz, è facile calcolare la reattanza di un condensatore qualunque, basta stare attenti ai sottomultipli del Farad. Per esempio la capacità di 1uF (1 microfarad = 1/1.000.000 di Farad) ha alla frequenza di rete la reattanza di

Possiamo immaginare di realizzare un partitore di tensione utilizzando un condensatore e una resistenza in serie:

 

 

per esempio scegliendo il valore di R uguale all'impedenza di C, in modo da dimezzare la tensione. Se per esempio C è di 0.1uF, per la formula vista sopra ha un'impedenza di 31830 ohm. Ponendo quindi R = 31830 ohm dovremmo raggiungere lo scopo. Sbagliato! Se alimentiamo il nostro partitore con la tensione di rete (220V) e andiamo a misurare il valore delle tensioni ai capi di R e di C, scopriamo che su entrambi si misurano 156V, che non è certamente uguale alla metà di 220, ma molto maggiore. Il problema nasce dallo sfasamento di 90° tra tensione e corrente nel condensatore, che fa sì che le tensioni in questo tipo di partitori si combinino non con legge lineare, ma con legge quadratica. Il problema si risolve considerando il triangolo rettangolo nel quale Vin è l'ipotenusa e le tensioni sulla resistenza e sul condensatore sono i due cateti:

 

Applicando il teorema di Pitagora (ricordate?), si ha:

 

formula che, opportunamente riarrangiata permette di calcolare la tensione ai capi del condensatore conoscendo la tensione d'ingresso e quella che si vuole ottenere in uscita:

 

Ed infine, conoscendo la tensione ai capi del condensatore e la corrente che vi deve scorrere, possiamo calcolare la reattanza del condensatore secondo la legge di ohm:

Questo valore può finalmente essere inserito nella formula di sopra per calcolare la capacità, tenendo conto che il risultato sarà espresso in Farad, e che quindi andrà moltiplicato per 1000000 per ottenerlo in microfarad.

 

 

Applichiamo subito queste formule all'esempio visto per il metodo del diodo, limitandoci anche stavolta ad alimentare i filamenti, come indicato nella figura qua sopra. Conosciamo ormai bene i dati delle valvole della serie "U": 117V (VR) con 100mA (I). Possiamo subito calcolare il valore di Vc e di Xc:

 

Ed infine il valore di C:

Il grande vantaggio di questo metodo è legato all'assorbimento quasi trascurabile di potenza da parte del condensatore; vi sono però anche in questo caso alcuni svantaggi:

  1. Come abbiamo visto, il calcolo non è semplicissimo, e bisogna stare molto attenti ai risultati ottenuti in quanto è facile sbagliare di un ordine di grandezza e mettere in circuito una capacità non adatta.

  2. Se il condensatore va in cortocircuito si ha un'eccessiva corrente nei filamenti, con elevata probabilità di bruciare almeno una valvola. Per ovviare a questo rischio occorre sovradimensionare abbondantemente la tensione di lavoro del componente. Per questo motivo sono assolutamente da evitare i condensatori elettrolitici.

  3. In questi circuiti si ha una sovracorrente iniziale piuttosto forte, che potrebbe nuocere alla vita delle valvole. Il rimedio consiste nel mettere una resistenza di smorzamento in serie al condensatore (100 ohm sono sufficienti). Un'altra resistenza, questa volta di valore elevato (100 kohm o superiore), va posta in parallelo al condensatore, in modo da farlo scaricare rapidamente quando si spegne l'apparecchio.

  4. I condensatori in poliestere di alta capacità e alta tensione di lavoro si trovano solo di pochi valori: occorre combinare in parallelo alcuni di questi per ottenere il valore cercato, oppure variare il valore della resistenza in serie.

Conclusioni

Abbiamo visto e analizzato in qualche dettaglio tutti i sistemi utilizzabili per adattare alla tensione di rete un apparecchio costruito per funzionare a tensione inferiore. I metodi utilizzabili sono quattro con tante possibili varianti. Ecco un sommario dei vari metodi con i rispettivi vantaggi e svantaggi:

  • Trasformatore o autotrasformatore - E' il metodo più "pulito" perché non comporta alcuna modifica al circuito originale, non produce troppo calore e permette, utilizzando un trasformatore vero e proprio, di isolare l'apparecchio dalla tensione di rete, con un grande vantaggio per la sicurezza di chi lo ripara e di chi lo manovra. Lo svantaggio principale è dato dal notevole ingombro del trasformatore, che spesso non può essere alloggiato all'interno del mobile della radio. Anche il costo non è trascurabile.

  • Resistenze di caduta - Questo è il metodo più usato, economico e facile da realizzare. Offre una certa sicurezza perché in caso di guasto le resistenze tendono a interrompersi, salvaguardando così il resto del circuito. Il principale svantaggio consiste nella grande quantità di calore prodotto, che può rendere complicato il montaggio delle resistenze di caduta in mobili piccoli, specie se di materiale plastico. In questo caso il montaggio in una scatolina esterna può rappresentare una soluzione accettabile.

  • Diodo + resistenze - Un diodo raddrizzatore può dimezzare la potenza su un carico resistivo, quindi si presenta come un buon complemento all'impiego di resistenze per l'alimentazione dei filamenti, abbassando drasticamente la potenza dissipata. Svantaggi: non può essere utilizzato per l'alimentazione di tutto il ricevitore; in caso di guasto un diodo tende ad andare in corto, mettendo a rischio i filamenti delle valvole.

  • Condensatore (+ resistenze) - Un condensatore si presenta come elemento ideale per ottenere cadute di tensione senza consumo di potenza, e quindi senza alcuna produzione di calore. E' possibile utilizzarlo vantaggiosamente nell'alimentazione dei filamenti, ossia in quei casi in cui il carico sia puramente resistivo. Lo svantaggio principale sta nel calcolo del valore esatto da utilizzare, che richiede l'uso di qualche formula (non molto complessa in verità). Un altro svantaggio, come per i diodi, è dovuto al fatto che in caso di guasto i condensatori tendono ad andare in corto, provocando una corrente eccessiva nel circuito. Se utilizzato bene, è comunque il metodo da preferire in caso di piccoli ricevitori di bassa potenza, come ad esempio quelli di produzione americana.

 

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