Le Radio di Sophie - I progetti

COSTRUZIONE DI ALIMENTATORI A VALVOLE TERMOIONICHE PER RADIORICEVITORI

di Marco Gilardetti

Questo articolo, scritto originariamente per Le Radio Di Sophie, è stato pubblicato sulla rivista
Costruire HiFi (numero 104, Blu Press s.r.l., Novembre 2007; e numero 105, Blu Press s.r.l., Dicembre 2007).
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Gilardetti M.: Costruzione di alimentatori a valvole termoioniche per radioricevitori. Il web (leradiodisophie.it), Luglio 2009.

 

PARTE IV: 

   

ALIMENTAZIONE DEI FILAMENTI

IV.1

EFFETTO EDISON TRA FILAMENTO E CATODO

   Rispetto all'alimentazione anodica,  l'alimentazione dei filamenti dei tubi elettronici è spesso un facile dettaglio che nella pratica costruttiva viene risolto collegando un capo del filamento al trasformatore e l'altro alla massa del telaio.   Questa soluzione che,  va premesso,  non è ottimale,  ha però il pregio della semplicità ed è posta in essere in quasi tutti i ricevitori di tipo comune perché i suoi difetti intrinseci sono usualmente mascherati da difetti di ordine superiore.   Ma gli apparecchi di qualità più elevata,  essendo in grado di porre in evidenza rumori e ronzii di fondo,  possono palesare fastidiosi difetti conseguenti ad un'alimentazione dei filamenti poco curata.   La presenza di ronzio è sempre stato uno dei problemi più seri dei dispositivi alimentati in corrente alternata,  e per risolverlo sono state messe in campo le soluzioni più disparate.   Anticamente,  ad esempio,  si prelevava talvolta parte del ronzio di fondo presente nel circuito e lo si inviava in controfase alle griglie della valvola finale,  allo scopo di neutralizzarlo.   Oppure si avvolgeva una "bobina antironzio" - percorsa da una corrente alternata di intensità e verso tali da neutralizzare il ronzio del segnale audio - direttamente attorno al nucleo magnetico dell'altoparlante.

   Una tra le cause più comuni di iniezione del ronzio riportate già nei primi testi di radiotecnica è l'instaurarsi di una corrente elettronica dovuta ad effetto Edison tra filamento e catodo nelle valvole a riscaldamento indiretto.   In questo tipo di tubi non solo il catodo ma anche il filamento (come d'altronde qualsiasi altro elettrodo riscaldato) è circondato da una propria nube elettronica.   Se il catodo,  per ragioni dovute alla sua polarizzazione o alla sua inserzione nel circuito (si pensi ad esempio alla configurazione totem-pole o ad un inseguitore catodico) si trova ad un potenziale sufficientemente positivo rispetto al filamento,  è possibile che si instauri una corrente elettronica tra i due elettrodi.   Il catodo,  in queste condizioni,  agisce come una placca rispetto al filamento (fig. 4.1-a) ovvero l'insieme filamento-catodo si comporta come un piccolo diodo.   Il fenomeno diviene rilevante qualora il salto di potenziale tra catodo e filamento sia pari o superiore a 30-40 Volt.   La corrente elettronica tra filamento e catodo sarà caratterizzata (almeno sulla cresta) da un segnale di tipo periodico,  che modulerà quindi la corrente tra catodo e placca provocando ronzio.

Figura 4.1 - Conseguenze di un salto di potenziale positivo tra filamento e catodo: a) effetto Edison tra filamento e catodo all'interno del catodo medesimo; b) migrazione di elettroni dal filamento ad elica antinduttiva al catodo ed alla placca.

   Già D.E. Ravalico nella sua leggendaria serie di testi radiotecnici [16],  nei primi anni '50,  osservava come questo problema fosse stato quasi del tutto eliminato con l'isolamento elettrico del filamento mediante materiali refrattari e con l'introduzione del filamento ad "elica antinduttiva".   Ciò nonostante,  per ragioni costruttive,  esiste sovente almeno una piccola porzione di filamento scoperta agli estremi del catodo (nei punti in cui entra ed esce da quest'ultimo) ed in grado di emettere elettroni (fig 4.1-b).   In questo caso,  più che un flusso filamento-catodo,  viene a crearsi una nube di elettroni dispersi liberi di migrare sia verso il catodo che verso la placca.

   La soluzione a questo tipo di problema consiste nell'evitare di collegare a massa un lato del circuito di filamento,  e nell'innalzare la tensione complessiva (rispetto al catodo) dell'intero circuito dei filamenti,  incluso l'avvolgimento secondario del trasformatore di alimentazione.   Ciò può essere ottenuto sommando alla tensione di filamento una piccola tensione continua (di almeno 25 Volt) prelevata ad esempio dall'alta tensione anodica con un partitore resistivo ed un condensatore elettrolitico di disaccoppiamento a massa (fig. 4.2-a).   Quando non serve andare troppo per il sottile,  la medesima tensione positiva può essere presa,  anziché da una rete "ad hoc",  da altri punti a bassa tensione presenti nel circuito come ad esempio il bypass catodico della valvola finale di potenza.   Se l'avvolgimento secondario per i filamenti è dotato della presa centrale,  la tensione positiva può essere applicata in quel punto.   Alternativamente,  la tensione può essere inviata al cursore di un potenziometro collegato come in figura 4.2-b,  agendo sul quale è possibile regolare la tensione media del filamento rispetto al catodo e quindi "spegnere" il ronzio presente in altoparlante.

Figura 4.2 - Applicazione di una tensione positiva al circuito dei filamenti: a) mediante presa centrale sull'avvolgimento secondario; b) mediante un potenziometro in derivazione.

 

IV.2

SIMMETRIZZAZIONE DEL CIRCUITO

   Il sistema "tradizionale" di porre a massa un terminale del circuito dei filamenti è dunque una soluzione che può determinare ronzio.   Lasciare tutto il circuito dei filamenti libero di fluttuare rispetto alla massa (anche in assenza di effetto Edison tra filamento e catodo) non è a sua volta una scelta ottimale,  principalmente a causa dell'induzione elettrica (per trasferimento capacitivo) sul secondario a bassa tensione dagli altri avvolgimenti del trasformatore di alimentazione.   Specialmente nei circuiti ad alta amplificazione che lavorano su segnali audio molto fievoli (magnetofoni, amplificatori microfonici, ecc.),  se l'alimentazione dei filamenti è in corrente alternata è consigliabile rendere simmetrico il circuito dei filamenti rispetto alla massa.   Ciò può essere comunemente ottenuto impiegando un trasformatore di alimentazione apposito,  munito di una presa centrale anche sull'avvolgimento dei filamenti (figura 4.3-a) da collegare al telaio.   In mancanza di una presa centrale,  si può ancorare a massa in modo simmetrico il circuito dei filamenti tramite due comuni resistenze come illustrato in figura 4.3-b.

          

Figura 4.3 - Riduzione del ronzio indotto dall'alimentazione dei filamenti in corrente alternata:
a) simmetrizzazione mediante collegamento a massa del secondario;
b) simmetrizzazione mediante resistenze di massa;
c) simmetrizzazione mediante potenziometro antironzio.

   Entrambe le tecniche descritte (presa centrale e resistenze di ancoraggio a massa) sono efficaci,  ma garantiscono una simmetria esatta del circuito dei filamenti solo nel caso di un circuito "ideale".   Nella pratica costruttiva,  però,  è quasi impossibile realizzare un circuito veramente simmetrico a causa della diversa lunghezza dei fili elettrici impiegati per i due poli,  della diversa distanza tra i fili ed il telaio (massa),  dell'asimmetria insita nella costruzione e nella disposizione di alcuni componenti sullo chassis.   E' sempre consigliabile intrecciare tra loro i cavi di alimentazione dei filamenti,  ma può instaurarsi comunque un flusso elettromagnetico disperso (dovuto principalmente al cablaggio) che talvolta vanifica gli sforzi profusi nel simmetrizzare il circuito.   E' tuttavia possibile introdurre una sorta di "punto di calibrazione" della simmetria:   è sufficiente sostituire le due resistenze di figura 4.12-b con un potenziometro a filo (100 Ω, 2 o più Watt) che in letteratura prende il nome di "potenziometro antironzio" (hum pot in lingua inglese, figura 4.12-c).   Il potenziometro deve essere ruotato fino ad individuare il punto in cui il ronzio cessa del tutto o ha intensità minima;   la regolazione del potenziometro è generalmente agevole in quanto non vi è un punto preciso di estinzione del ronzio,  ma piuttosto un ampio settore all'interno del quale il ronzio è estinto o si mantiene costante su valori accettabili.

  

IV.3

ALIMENTAZIONE PASSIVA DEI FILAMENTI IN CORRENTE CONTINUA

   La soluzione pressoché definitiva al problema del ronzio iniettato dai filamenti consiste nel procedere all'alimentazione di quest'ultimi in corrente continua.   E' bene precisare subito che questa soluzione drastica è difficile da porre in atto ed è anche raramente necessaria in pratica.   Gli stadi di preamplificazione sono particolarmente soggetti al ronzio iniettato dai filamenti per le ragioni esposte nei capitoli precedenti ma,  per quanto l'intuito lasci supporre che l'alimentazione in c.c. debba essere di sicuro giovamento,  abbondano i progetti di amplificatori con filamenti completamente in c.a. e dalla resa sonora eccellente.   In particolare,  se da un lato l'alimentazione in c.c. è di impiego moderatamente frequente negli stadi preamplificatori ad altissimo guadagno (come nell'amplificazione delle chitarre elettriche o negli strumenti elettronici ad oscillatori quali il Theremin),  essa rischia di essere solo un provvedimento tanto difficoltoso quanto irrazionale negli stadi preamplificatori di guadagno "normale".   In questo ambito,  un potenziometro antironzio ben realizzato può essere efficacissimo,  mentre un alimentatore in c.c. mal progettato potrebbe iniettare un rumore causato della forte tensione di ondulazione residua che sarebbe poi praticamente impossibile simmetrizzare adeguatamente.   La strategia più prudente potrebbe pertanto essere quella di tentare dapprima l'alimentazione dei filamenti in c.a.,  per poi convertirla in c.c. qualora i problemi dovuti al ronzio si mostrassero irrisolvibili per altra via.

   Un piccolo alimentatore per filamenti completamente passivo può essere costruito ricalcando "in miniatura" la struttura di qualunque alimentatore anodico visto nelle prime tre parti di questo articolo.   Tuttavia,  considerate le bassissime tensioni in gioco,  la scelta di raddrizzatori a stato solido è in pratica obbligata,  e nel caso del raddrizzamento a stato solido abbiamo già discusso (capitolo 3, parte seconda) di come la scelta del ponte di Graetz sia la più razionale.   Un filtro П a capacità-resistenza seguirà il ponte di raddrizzamento.   Poiché l'energia immagazzinata in un condensatore è geometricamente proporzionale alla tensione presente ai suoi capi,  negli alimentatori a bassa tensione i valori della capacità impiegate sono spesso superiori di alcuni ordini di grandezza rispetto a quelle in uso negli alimentatori anodici.   Non ci si stupisca quindi delle cifre riportate sul grafico,  che sono consuete in questo tipo di applicazione.   A differenza dell'alimentazione in c.a.,  nel caso dell'alimentazione in c.c. è superfluo rendere simmetrico il circuito dei filamenti,  ed il polo negativo può essere collegato a massa (figura 4.4).

Figura 4.4 - Alimentatore passivo per filamenti.

   Poiché il passaggio da corrente alternata a corrente continua ha l'effetto di innalzare la tensione di un fattore 1,4 (capitolo 1, parte prima) la resistenza R del filtro П svolge un ruolo fondamentale nel far cadere nuovamente la tensione al valore necessario (generalmente 6,3 Volt) e pertanto deve essere dimensionata caso per caso,  una volta calcolato l'assorbimento totale di corrente da parte dei filamenti che dovranno essere alimentati.   Proviamo ad esempio a calcolare il valore di R per alimentare in c.c. il filamento di un comune tubo ECC81 (12AT7).   Per semplificare al massimo i calcoli,  trascuriamo in prima istanza la caduta di tensione sul ponte di diodi e supponiamo che il livellamento della corrente diretta sia totale,  e che pertanto all'uscita del primo condensatore di spianamento si abbia una tensione continua pari a esattamente 1,4 volte il valore efficace della tensione alternata,  cioè 6,3 x 1,4 = 8,82 Volt c.c.   E' necessario riportare questo valore ai 6,3 Volt necessari al filamento tramite una caduta di tensione su R pari a 8,82 - 6,3 = 2,52 Volt.   L'assorbimento di corrente del filamento è riportato sui fogli tecnici che accompagnano questa valvola,  ed è pari a 300 mA.   In base alla legge di Ohm,  il valore di R necessario sarà fornito dal calcolo V : i = 2,52 : 0,3 = 8,4 Ω.   L'assorbimento sarà di V x i = 2,52 x 0,3 = 0,8 Watt,  quindi per prudenza il resistore dovrà essere in grado di dissipare almeno 2 Watt.

   All'atto pratico,  questo valore di R calcolato è sempre superiore a quello realmente necessario:   deve essere interpretato come un valore massimo teorico da cui partire per provare valori di resistenza via via calanti fino ad avvicinarsi sufficientemente al valore di tensione in uscita desiderato.   Nel nostro caso,  si trova sperimentalmente per approssimazioni successive che il valore di R adatto è di 2,2 Ω:   circa 1/4 di quello calcolato (nelle condizioni di impiego specificate, la tensione di ondulazione al banco di prova risulta essere di 250 mV).

   Il calcolo può essere reso meno impreciso introducendo nelle formule la caduta di tensione dovuta al ponte di diodi.   Questo dato,  però,  varia con il carico ed è fortemente dipendente dalla classe di semiconduttori impiegati.   In prima approssimazione,  comunque,  la caduta dovuta all'intero ponte di diodi è di 1,4 V per diodi ordinari a giunzione p-n e di 0,6 V per diodi Schottky.   Anche se si tiene conto di ciò,  il valore calcolato per R sarà comunque sempre superiore al valore necessario in pratica.   La ragione è che,  nella realtà,  i condensatori di livellamento non riescono a raggiungere veramente la tensione di picco,  ma a causa dell'elevato assorbimento di corrente rimangono in uno stato intermedio di "semicarica".

       

Figura 4.5 - L'alimentatore passivo per filamenti di figura 4.4 in prova. Il circuito è realizzato su una basetta sperimentale componibile.

   Qualora,  con la stessa tecnica,  si volesse alimentare una coppia di ECC81 (con un assorbimento totale di 600 mA),  il valore di R adeguato sarebbe di poco superiore ad 1 Ohm.   I condensatori di livellamento si troverebbero pertanto in quasi-parallelo,  e quando questo accade è segno che ci si sta avvicinando ai limiti d'erogazione dell'alimentatore.   A riprova di ciò,  la tensione di ondulazione misurata sale a 650 mV.   Questo secondo esempio dovrebbe aver chiarito perché l'alimentazione generale dei filamenti in c.c. è un obiettivo quasi mai perseguibile in pratica.   Più spesso,  l'alimentazione in c.c. è riservata ad una,  o al massimo a due valvole del circuito,  mentre le altre rimangono alimentate in c.a.   Questa situazione-tipo è illustrata simbolicamente in figura 4.4,  dove i filamenti F1 ed F2 sono alimentati normalmente in c.a.,  e dove ad essi segue in derivazione il circuito di alimentazione in c.c. dedicato ad un solo filamento (indicato con F).

   Come tutti gli alimentatori visti in precedenza,  anche l'alimentatore per filamenti può essere migliorato sostituendo la resistenza di separazione tra i condensatori di livellamento con una induttanza (figura 4.6).   Così come si è reso necessario aumentare di molto il valore delle capacità a causa della bassa tensione su cui esse sono destinate ad operare,  così ora possono essere impiegate,  viceversa,  induttanze di valore modesto.   Questo perché le correnti erogate sono di intensità assai elevata (dell'ordine dell'Ampere),  e quindi l'effetto "volano" dovuto all'energia immagazzinata nella bobina è molto accentuato.   Va da sé che la bobina impiegata,  se da un lato può essere di induttanza modesta,  dall'altro dovrà essere dimensionata in modo da poter erogare senza problemi la forte corrente richiesta dai filamenti.

Figura 4.6 - Alimentatore passivo per filamenti con filtro П a capacità-induttanza.

   Anche in questo caso sarà quasi sicuramente necessario procedere ad un aggiustamento della tensione in uscita tramite una resistenza di caduta opportunamente dimensionata.   La resistenza,  che non è più necessario inserire all'interno del filtro П,  può essere collocata a monte di tutto il complesso di rettificazione e livellamento (figura 4.6).   Per il suo calcolo si può seguire la stessa procedura illustrata prima.   Poiché ora la resistenza R non assume più su di sé il ruolo di elemento separatore tra i due stadi di livellamento,  essa può eventualmente diminuire di valore fino ad essere - al limite - eliminata del tutto.   Ciò consente,  se necessario,  di "spremere" maggiormente il piccolo alimentatore per filamenti.

   E' anche possibile partire da un avvolgimento secondario a tensione Vf superiore agli usuali 6,3 Volt (il doppio, per esempio) e ridurre la tensione in uscita aumentando opportunamente il valore di R.   Non dimentichiamo però che l'abuso della possibilità di alimentare i filamenti in c.c. - oltre ad essere una pratica di rado realmente necessaria - comporta in questo caso l'acquisto di un trasformatore di alimentazione speciale (se non addirittura costruito su misura) ed impedisce di inserire a monte del raddrizzatore i filamenti delle valvole alimentate a 6,3 V c.a. come era stato fatto nel circuito di figura 4.4.

  

IV.4

STABILIZZAZIONE DELLA TENSIONE

   Con la trasformazione della corrente alternata in corrente continua,  i problemi di cattiva regolazione (calo della tensione erogata dovuto al carico e ad altri fattori) e di ronzio sono stati sostanzialmente traslati sulla tensione di ondulazione.   Per risolvere radicalmente il problema,  si potrebbe pensare di progettare un alimentatore che generi una tensione superiore a quella effettivamente necessaria,  a cui far seguire un qualche tipo di filtro che butti letteralmente via la tensione in eccesso,  tensione di ondulazione inclusa (figura 4.7).

Figura 4.7 - Stabilizzazione mediante rimozione fisica della tensione di ondulazione.

   Tale filtro dall'effetto quasi miracoloso sembra un dispositivo complesso da porre in atto,  ma è invece implementabile in modo semplice,  economico ed efficace con dispositivi compatti come il diodo Zener.   Questo semiconduttore a forte drogaggio si comporta come un comune diodo se polarizzato direttamente;   esso però consente il passaggio della corrente anche in polarizzazione inversa,  posto che la tensione presente ai suoi capi superi uno specifico valore detto "tensione di Zener".   A dire il vero questo fenomeno (o un fenomeno analogo: la conduzione a valanga) è presente in tutti i diodi a semiconduttori,  ma nei diodi Zener si presenta a tensioni particolarmente basse ed è molto stabile.   Quando la tensione di Zener (VZ) è raggiunta,  essa rimane quasi costante ai capi del diodo anche se la corrente che attraversa il dispositivo aumenta.   Ovverosia,  invertendo il punto di vista,  il diodo Zener si lascia attraversare da tanta corrente quanta è necessaria per mantenere la tensione di Zener ai suoi capi.   Il diodo Zener in conduzione inversa è quindi un regolatore di tensione,  nel senso che la tensione ai suoi elettrodi è dipendente solo in minima parte dalla corrente che lo attraversa.   Storicamente,  i dispositivi in grado di svolgere questo compito non sono stati una novità introdotta dalla tecnologia dei semiconduttori:   già nei tempi gloriosi dell'elettronica valvolare esistevano appositi tubi a gas aventi la funzione di regolatori della tensione anodica.   Il diodo Zener ha però esteso l'uso di questa tecnica anche a tensioni di lavoro estremamente basse ed è,  per di più,  un componente di costo irrisorio.

   In commercio sono disponibili diodi in un ampio spettro di tensioni di Zener.   Se tra i valori commerciali la tensione necessaria non è presente,  la si può raggiungere connettendo due o più diodi Zener in serie.   L'alimentatore in figura 4.8 mostra l'impiego più elementare possibile di questo particolare semiconduttore.   Per dimensionare il circuito,  è importante capire come il dispositivo agisce nei due casi estremi:   a vuoto e con il massimo carico applicato.   In assenza di carico,  tutta la corrente generata dall'alimentatore fluirà verso massa attraverso il diodo Zener;   la resistenza R ha quindi l'importante compito di proteggere il dispositivo dalla distruzione limitando la corrente massima che può fluire attraverso esso.   Viceversa,  con il massimo carico applicato si deve fare in modo che il diodo Zener sia comunque attraversato da una corrente che,  per quanto piccola,  sia ancora sufficiente ad innescare la conduzione in polarizzazione inversa,  pena l'annullamento dell'effetto di regolazione.   Questa corrente minima inversa è tipica per ogni modello di diodo Zener e dovrebbe essere elencata tra i parametri dei fogli tecnici come D oppure IZmin oppure IZK.   Dico "dovrebbe" perché spesso,  viceversa,  il dato è assente o è solo deducibile per vie traverse.   Come regola (euristica, prima ancora che empirica) possiamo affermare che uno Zener è ben polarizzato inversamente se è attraversato da una corrente dell'ordine di una decina di milliampere.

Figura 4.8 - Alimentatore passivo stabilizzato con diodo Zener.

   Il difetto principale di un circuito così semplice è che una buona parte dell'energia erogata dal trasformatore è letteralmente buttata via attraverso lo Zener.    Paradossalmente,  il massimo spreco di energia (accompagnato come sempre da forte generazione di calore) si ha proprio in assenza di carico,  ovvero quando ci si attende che un alimentatore degno di questo nome non consumi pressoché nulla.   Perciò l'impiego di questo circuito,  limitatissimo nella pratica costruttiva,  è circoscritto ad alimentatori di bassissima potenza (per i quali l'energia dissipata è comunque un'entità trascurabile) o destinati ad un carico noto e pressoché costante,  di modo che la progettazione possa essere molto rigida e prevedere bassissime perdite.   Il filamento di una valvola (a regime) corrisponde sufficientemente bene al secondo quadro,  per cui possiamo provare a dimensionare un alimentatore di questo tipo per vedere come si comporta.

   Supponiamo di voler alimentare la solita ECC81 (300 mA a 6,3 V);   il diodo ovviamente andrà scelto tra quelli che presentano la tensione di Zener più prossima alla tensione di lavoro del filamento.   In commercio sono disponibili i valori 6,2 e 6,8 VZ.   La scelta tra i due è in un certo senso soggettiva;   personalmente ritengo migliore il valore di 6,8 VZ perché non riduce (anzi aumenta) l'emissione della valvola e ritarda l'avvelenamento catodico;   di contro la riduzione dell'aspettativa di vita del filamento per sovralimentazione direi che è del tutto trascurabile.   Come già visto,  nello scenario peggiore tutta la corrente attraverserà lo Zener,  quindi il modello scelto dovrà poter reggere almeno 300 mA su 6,8 V,  ovvero 6,8 x 0,3 ≈ 2 W che come sempre è prudente innalzare ad almeno 5 W.   I diodi Zener da 5 Watt sono ancora piuttosto economici (non lo stesso si può dire per quelli di potenza superiore) e un modello commerciale che risponde a queste caratteristiche è ad esempio il diodo Zener Motorola 8632,  che dobbiamo ora polarizzare adeguatamente.

   Per ragioni che vedremo a breve,  in questo caso è meglio non rispettare la nostra regoletta dei 10 mA;   conviene tenersi molto più larghi,  prevedendo ad esempio una corrente di Zener a regime di 50 mA.   Per dimensionare bene la resistenza R è necessario conoscere con precisione la tensione continua presente all'uscita dei condensatori di filtro a regime,  eventualmente misurandola col filamento connesso ai capi del condensatore.   Nel circuito in figura la tensione è di 13 Vcc.   La resistenza dovrà essere attraversata da 300 mA destinati al filamento più 50 mA destinati alla polarizzazione inversa del diodo Zener,  quindi da 350 mA complessivi.   Il suo valore sarà quindi dato da R = V : i = 6,8 : 0,35 = 19 Ω,  valore che è facile approssimare bene con una resistenza da 15 Ω 5 W e una da 4,7 Ω 1 W poste in serie.

   Il circuito così dimensionato funziona discretamente bene:   eroga al filamento una tensione di 6,5 V c.c. (quindi leggermente inferiore ai 6,8 V di targa) con una tensione di ondulazione bassissima,  dell'ordine della decina di millivolt (figura 4.9-a).   Tutto bene,  quindi?   Non proprio,  c'è un problema ben nascosto:   è sufficiente un piccolo aumento della corrente richiesta dal carico rispetto ai parametri progettuali oppure un calo anche minimo della tensione non regolata rispetto al valore previsto nei calcoli (ad esempio a causa di un calo della tensione domestica, o per una perdita di efficienza dei condensatori di livellamento) affinché lo Zener esca dalla polarizzazione inversa con totale perdita dell'effetto di stabilizzazione.   Facciamo un esempio concreto:   se la tensione di rete viene portata dai 230 V c.a. previsti a 200 V c.a. (valore che ci si ritrova tutt'altro che di rado in uscita dalle italiche prese di corrente) è facile verificare che tutta la corrente è costretta a fluire nel filamento della valvola lasciando "a secco" lo Zener che perde quindi completamente le proprie capacità di stabilizzazione (figura 4.9-b).   E questo nonostante ci fossimo tenuti assai larghi di manica,  prevedendo a priori di dissipare,  nel caso migliore,  ben un sesto della potenza erogata dall'alimentatore.

Figura 4.9 - Comportamento dell'alimentatore di figura 4.7 al banco di prova: a) tensione in uscita con alimentazione di rete 230 V c.a.; b) tensione in uscita con alimentazione di rete 200 V c.a.   E' evidente il calo della tensione erogata e la ricomparsa della tensione di ondulazione.
(1 V / div.; 0 V = div. 0 [penultima linea in basso])

 

IV.5

ALIMENTAZIONE ATTIVA DEI FILAMENTI IN CORRENTE CONTINUA

   Il diodo Zener può essere sfruttato in modo più efficiente in combinazione con un dispositivo attivo altrettanto economico:   il transistor a giunzione bipolare connesso in configurazione inseguitore d'emettitore (figura 4.10).   In questo circuito lo Zener non si occupa più direttamente dell'eliminazione della tensione in eccesso,  ma riveste invece il ruolo di riferimento di tensione e potrebbe teoricamente essere sostituito da una batteria o da qualche altro tipo di generatore di tensione stabile.   La resistenza R,  nuovamente,  deve garantire che esso sia attraversato da una corrente sufficiente a porlo in conduzione inversa.   Ora però la resistenza non ha più il compito di erogare corrente al carico (se non in microscopica parte tramite la giunzione base-emettitore) per cui la potenza dei dispositivi impiegati (diodo Zener e relativa resistenza) potrà essere ridotta di molto ed il loro surriscaldamento sarà del tutto trascurabile.

Figura 4.10 - Primo esempio di alimentatore stabilizzato con diodo zener e transistore di potenza.

   Il funzionamento del circuito è usualmente descritto nei testi di elettronica con un florilegio di formule e calcoli in grado di snervare anche i matematici più tenaci,  mentre è in realtà semplicissimo:   il riferimento di tensione è connesso alla base del transistor,  la tensione non regolata al collettore ed il carico all'emettitore.   Facendo riferimento alla figura 4.10 risulterà chiaro che in condizioni di stabilità la tensione VZ presente ai capi del diodo dovrà giocoforza essere uguale a VU + VBE.   Ovvero,  capovolgendo la formula,  la tensione disponibile al carico VU sarà pari alla somma algebrica tra la tensione di Zener VZ e la differenza di potenziale tra emettitore e base VBE, cioè VZ - VBE.   Il grande segreto per il dimensionamento del circuito,  che non si trova mai esposto in modo semplice e chiaro nei testi,  è il seguente:   quando un transistor a giunzione bipolare è in forte conduzione il valore di VBE è circa costante ed è approssimativamente pari a 0,7 Volt,  per cui la tensione disponibile al carico sarà semplicemente VU = VZ - VBE = VZ - 0,7.   Questa formula,  oltre a darci con un calcolo semplicissimo il valore della tensione stabilizzata disponibile in uscita una volta scelto il diodo Zener,  mostra immediatamente che se per qualche ragione (maggior assorbimento del carico o minore tensione non regolata disponibile al collettore) la tensione in uscita tendesse a calare,  ciò comporterebbe un aumento di VBE (perché VZ è costante),  e l'aumento di VBE porterebbe immediatamente il transistor in uno stato di maggiore conduttività,  ripristinando così lo stato di equilibrio.   Il transistor impiegato può essere di tipo qualunque,  purché sia un transistor di potenza con una corrente di emettitore adeguata a quella assorbita dal carico.

   Chiarito il funzionamento del circuito su uno schema di tipo elementare,  vediamo una sua applicazione perfezionata di impiego assai frequente,  un autentico sempreverde dell'alimentazione stabilizzata.   Il principio di funzionamento è esattamente il medesimo,  ma ora i transistor sono due,  collegati nella classica configurazione detta "coppia Darlington" (la coppia forma un amplificatore ad altissimo guadagno in corrente ed è molto utilizzata nella pratica costruttiva).   Il primo transistor,  che può essere un componente di bassa potenza di tipo generico ma meglio se specifico per la configurazione Darlington,  ha lo scopo di aumentare la sensibilità dell'intero stabilizzatore alle variazioni di tensione pilotando più efficacemente la base del secondo transistor,  che è invece il transistor di potenza già visto in precedenza,  da scegliere in base all'assorbimento di corrente del carico.   L'unica differenza nei calcoli è data dal fatto che ora le barriere di potenziale base-emettitore sono due,   per cui la tensione disponibile al carico sarà data da VU = VZ - VBE1 - VBE2 = VZ - 1,4.

Figura 4.11 - Alimentatore attivo stabilizzato con diodo zener e coppia Darlington.

   Il piccolo condensatore da porre eventualmente in parallelo al diodo Zener serve a smorzare il rumore elettrico che questo dispositivo tende a generare.   In una applicazione non critica come l'alimentazione di un filamento a riscaldamento indiretto la sua presenza può dirsi non necessaria (diverso sarebbe il caso di un alimentatore di placca o di un filamento a riscaldamento diretto, entrambi elettrodi inseriti direttamente nel circuito audio).   Si ricordi in ogni caso che,  sebbene il suo valore non sia critico,  non deve neppure essere elevato sconsideratamente onde evitare il rischio che la coppia condensatore - diodo possa formare un oscillatore a rilassamento.   L'inserzione della grande capacità elettrolitica in uscita,  in parallelo al carico,  è a sua volta in un certo senso facoltativa.   Si potrebbe ad esempio obiettare che,  essendo la tensione in uscita stabilizzata,  il condensatore d'uscita potrebbe essere (ed in molti casi è) del tutto soppresso.   Tuttavia alcuni autorevoli costruttori lo inseriscono comunque,  con lo scopo di ammortizzare eventuali sovrareazioni dei transistor in risposta a profonde variazioni del carico.   Insomma:  non si tratta di elementi strettamente indispensabili,  a ciascuno la propria scelta.

Figura 4.12 - L'alimentatore di figura 4.11 realizzato con cablaggio in aria su basette sperimentali.

   Veniamo alla scelta dei componenti.   Come transistor pilota si può scegliere un 2N3053 (un eterno classico degli amplificatori Darlington) e come transistor di potenza un TIP31 (un dispositivo molto economico, con involucro TO220 a lamella dissipatrice e corrente massima di ben 3 A) ma,  come già detto,  questi modelli potrebbero essere sostituiti da qualunque altro transistore per usi generici di adeguata potenza.   Il diodo è un qualsiasi 7,5 VZ da 1 W,  col quale ci aspettiamo di ritrovare in uscita VU = VZ - 1,4 = 6,1 V al filamento.   Non resta che dimensionare la resistenza.   Trascuriamo del tutto la corrente che entra nella base di T1 e poniamoci l'obiettivo di rispettare l'usuale regoletta dei 10 mA di corrente inversa di Zener.   Poiché VZ = 7,5 V e la tensione disponibile in uscita dai condensatori di livellamento è di 13 Vcc come nel caso precedente,  ai capi della resistenza saranno presenti 13 V - 7,5 V = 5,5 V.   Pertanto il valore di R sarà dato da R = V : i = 5,5 : 0,01 = 550 Ω,  che si può approssimare con una resistenza da 470 Ω 1/4 W.   Con questi valori,  il consueto filamento della ECC81 al banco di prova è alimentato a esattamente 6,3 Volt e la tensione di ondulazione residua è inferiore a quella del circuito di figura 4.8 (circa 2 mA).   Ma,  soprattutto,  ora il circuito è molto più efficiente e si mostra stabile anche in presenza di grandi cali della tensione di rete (figura 4.13) oltre a non consumare pressoché nulla a riposo.

   Concludendo,  si tenga presente che il transistor di potenza genererà certamente una gran quantità di calore.   Se non si vuole o non si può munirlo di un proprio dissipatore termico,  sarà come minimo necessario ancorarlo allo chassis metallico dell'apparecchio in costruzione.   In entrambi i casi è importante ricordare che quasi sempre la lamella di dissipazione termica (o l'involucro metallico) dei transistor di potenza fa corpo unico con il collettore,  per cui generalmente non è possibile fissare il dispositivo a nudo sul telaio se questo è impiegato come massa del circuito,  ma è necessario frapporre tra i due elementi l'apposita piastrina isolante in mica facilmente reperibile presso i negozi di componentistica.

Figura 4.13 - Comportamento dell'alimentatore di figura 4.11 al banco di prova: a) tensione in uscita con alimentazione di rete 230 V c.a.; b) tensione in uscita con alimentazione di rete 200 V c.a.   Non vi è praticamente alcun calo della tensione erogata e la tensione di ondulazione appare sempre ottimamente soppressa.
(1 V / div.; 0 V = div. 0 [penultima linea in basso])

 

CORRENTE ASSORBITA TENSIONE EROGATA TENSIONE DI ONDULAZIONE
300 mA (1x ECC81) 6,3 V c.c. 2 mV
600 mA (2x ECC81) 6,3 V c.c. 4 mV

Tabella 4.1 - Dati riassuntivi delle prestazioni dell'alimentatore per filamenti di figura 4.11.

 

BIBLIOGRAFIA:
(continua dalla parte III)
[13] Ravalico D. E. - L' audiolibro. Elementi basilari e recenti applicazioni della tecnica del suono. 2ª edizione. Milano, Hoepli, 1953.
[14] Nicolich A., Nicolao G.: Alta fedeltà. HiFi. 2ª edizione. Il Rostro, Milano, 1965.
[15] Nicolao G.: La tecnica della stereofonia. Il Rostro, Milano, 1960.
[16] Ravalico D.E.: Radio riparazioni. Servizio radiotecnico vol. II°. 8ª edizione. Milano, Ulrico Hoepli editore, 1952.
[17] Macrì L., Gardini R.: Manuale Hi-Fi a valvole. Schemario. Volume 1°. Progetto editoriale Luciano Macrì, Firenze, 1993.
[18] Bevacqua S., Macrì L.: Manuale Hi-Fi a valvole. Schemario. Volume 3°. Guida per l'autocostruttore. Progetto editoriale Luciano Macrì, Firenze, 1995.
[19] Millman J., Halkias C.C.: Dispositivi e circuiti elettronici. Bollati Boringhieri, Torino, 1971.

 

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