Tecnica - Le Radio di Sophie - Technics Il mistero della Televisione a Colori L'Italia è stata tra le ultime nazioni europee ad avviare le trasmissioni regolari a colori - oltre dieci anni di ritardo rispetto alle prime - come mai? - di L. Mureddu Son passati quarant'anni da quei campionati del mondo del '78, il primo grande avvenimento sportivo a essere trasmesso a colori dalla RAI. Eppure in tutta Europa il TVcolor era ormai una realtà da oltre dieci anni, e molti italiani riuscivano da tempo a togliersi la soddisfazione delle immagini colorate che si ricevevano bene nelle regioni di confine con la Svizzera e L'Austria, per non parlare di Tele-Capodistria che già dal 1971 trasmetteva a colori trasmissioni in lingua italiana, comprese le Olimpiadi del 1972 e i Campionati di calcio del '74. I fortunati abitanti delle zone coperte dal segnale potevano tranquillamente acquistare un televisore a colori prodotto in Italia e godersi gratis i programmi. Ma perché l'Italia impiegò tanto tempo? Facciamo un bel passo indietro, fino al 1967. In quell'inverno la Geloso uscì con un Bollettino Tecnico completamente dedicato alla Televisione a colori. Ecco la copertina: Quel bollettino, e analoghe pubblicazioni di altre Case italiane, testimoniano che nel 1967 l'industria italiana era pronta a distribuire degli ottimi televisori a colori. E siccome non erano tutti pazzi, stavano evidentemente attrezzandosi per rispondere a una richiesta di mercato che inevitabilmente ci sarebbe stata. Quindi sapevano che di lì a poco la RAI avrebbe iniziato le trasmissioni a colori su base regolare. Ma questo non avvenne nel '68 come ci si aspettava, e neppure nel 1969, l'anno in cui il mondo intero poté seguire a colori le vicende dell'Apollo 11. Come era possibile: l'uomo sbarcava sulla Luna e gli Italiani erano costretti ancora a guardare la TV in bianco e nero come negli anni '50?. Ecco una copertina eloquente del settimanale Epoca: L'articolo cui fa riferimento quell'urlo in copertina è un'inchiesta condotta dai giornalisti E. Negretti e G. Tramballi. Lo potete scaricare per intero al link qua sotto: In Italia la Televisione a colori è gialla Proviamo a riassumerne il contenuto e i punti salienti, partendo dalla scelta dello standard. Nei primi anni '60 nel mondo vi erano tre standard di trasmissione a colori: l'americano NTSC, ormai vecchiotto, il francese SECAM e il tedesco PAL. Quest'ultimo sistema era stato creato per ultimo, progettato per correggere gli errori degli altri due. Infatti tutte le nazioni occidentali che non erano ancora attive nelle trasmissioni a colori, automaticamente sceglievano il sistema PAL, più moderno e stabile degli altri. Anche l'Italia, ossia l'industria e il governo, optarono per il PAL e lo dichiararono a Vienna nel 1965, in occasione di una riunione internazionale, e riconfermarono a Oslo nel 1966. La RAI accolse la decisione come un invito ad abbandonare le sperimentazioni sugli altri standard e a concentrarsi sull'emissione di bande colorate PAL per consentire ai tecnici di mettere a punto i sistemi di ricezione. Problema risolto quindi? Neppure per sogno. Il gioco dei rinvii e dei dubbi - Quando ormai l'industria era lanciata in uno sforzo di riconversione e di aggiornamento, ecco che per un'improvvisa manovra politica l'avvio delle trasmissioni a colori viene stralciato dal piano quinquennale 1966-1970. Motivazione: gli italiani non sono pronti a reggere la spinta consumistica che ne verrebbe. La televisione a colori, consumo non necessario, distoglierebbe gli italiani dai problemi veri. Sembra chiaramente uno strano modo di arrampicarsi sugli specchi, ma funziona: la televisione a colori resterà bloccata almeno fino al 1971. Per soprammisura qualcuno tira fuori nuovamente il problema dello standard (ma non era già stato deciso?) sostenendo che forse valeva la pena riprendere in considerazione il francese SECAM dato che le popolazioni del bacino del mediterraneo (Nord Africa) trasmettevano con quel sistema. Insomma si rimette in gioco tutto. E l'industria? Inizia una grande crisi industriale - Le grandi aziende elettroniche, come Geloso, Radiomarelli, Voxson eccetera subiscono il contraccolpo, non solo per la mancata vendita di televisori a colori, ma per il crollo delle vendite di televisori tout court, dato che il potenziale acquirente preferisce tirare avanti col vecchio apparecchio o restare senza, in attesa dell'ormai imminente lancio del colore. La stessa RAI, costretta dai ripensamenti politici, non può avviare investimenti che rischiano di essere travolti da un subitaneo cambio di standard. Il risultato è l'avvio di una crisi produttiva e occupazionale che porterà conseguenze per tutti gli anni '70. Tutto questo era già chiaramente prevedibile nella primavera del 1969. La storia successiva sarà ancora lunga e complessa, basata sui successivi rinvii da parte dei vari ministri delle telecomunicazioni. Ma il cuore della vicenda, il mistero di partenza, resta questo: a chi conveniva mantenere l'Italia al palo nell'industria elettronica? Tanto da sopprimere talenti, spiriti imprenditoriali, occasioni di affermazione internazionale per oltre dieci anni? C'è chi ci trova lo zampino della guerra fredda e dell'Unione Sovietica, che come la Francia aveva adottato il SECAM. Ma così si entra nella dietrologia e nel complottismo. Sono più favorevole all'idea di un'Italia dei burocrati e dei cialtroni, che pur di mettere ostacoli allo sviluppo fanno come nell'Ottocento che osteggiavano la costruzione delle strade perché "servivano alle carrozze dei signori". (L.M.) |